Home alcinema Anna di Charles-Olivier Michaud: la recensione in anteprima

Anna di Charles-Olivier Michaud: la recensione in anteprima

Accade spesso che il giornalismo si occupi di cinema, così come oggi sembra particolarmente frequente la presenza del giornalismo all’interno di narrazioni cinematografiche, oggetto di trame che ne esplorano le diverse declinazioni o intenzioni. Spesso ad esempio è facile cedere alla tentazione di raccontarne gli “eccessi”, mettendo in primo piano un discorso attorno all’etica giornalistica sempre molto attuale e necessario; ma certo molto interessanti sono anche quelle storie che focalizzano l’attenzione sui protagonisti di questa professione, seguendone percorsi e inchieste in luoghi sia remoti che prossimi alla quotidianità. Cinema e giornalismo d’inchiesta condividono in effetti alcuni aspetti: una buona storia, sul grande schermo e pure sulla carta stampata, necessita di una precisa scelta di contesto, di uno stile accattivante affinché il messaggio sia digerito più facilmente e quindi di una “regia”, perché il buon giornalismo è fatto di scelte e d’organizzazione. In tutto ciò, in molti casi non guasta infine una certa dose di coraggio e determinazione, utile virtù in un campo professionale che molto spesso si trova faccia a faccia con realtà complesse.

Su quest’ultimo aspetto, ovvero sull’audacia di una professionista del settore a contatto con un pericoloso micromondo criminale, si sofferma Anna, la cruda pellicola del regista Charles-Olivier Michaud. Protagonista è l’omonima giornalista canadese interpretata da un’intensa Anna Mouglalis, in un ruolo complesso che la vede vestire i panni di una donna estremamente provata a livello psicofisico. La reporter franco-canadese si reca in Thailandia per osservare da vicino l’attività della tratta di giovani donne destinate ad arricchire l’offerta del turismo sessuale. Obiettivo della donna è addentrarsi in questa dura realtà intervistando alcune delle giovani prostitute e raccogliendo fotografie, per poter quindi stilare un ampio articolo di denuncia sul fenomeno del traffico di schiave del sesso all’interno del Paese.

Il film nelle sequenze iniziali propone immediatamente al suo spettatore inquadrature degli sguardi spenti e dei volti afflitti di alcune anonime ragazze, marcate da stress psicologico e crudeli sevizie fisiche come dimostrano le cicatrici, “firma” inconfondibile dell’attività criminale della temuta Triade cinese (ォMi hanno voluta tenere per s・. Quando hanno finito con me, mi hanno marchiataサ spiega alla giornalista una delle giovani).

Michaud sembra quasi far credere che il suo film sarà di stampo documentaristico, sul modello ad esempio del recente Fixeur del bravo regista rumeno Adrian Sitaru. Tuttavia, come in effetti è segnalato dal titolo, ci si rende presto conto che è proprio la protagonista Anna il personaggio cruciale del film, il fulcro attorno al quale è costruita l’esile impalcatura narrativa. La camera resta fissa sulla sua figura, seguendola nei meandri di una Bangkok notturna e ostile, rappresentata con cura da una fotografia carica di dettagli, che si sforza di inquadrare questo labirintico organismo urbano da un punto di vista soggettivo: quello della stessa giornalista. Anna è intenzionata a superare ogni ostacolo possibile pur di ottenere le informazioni necessarie a completare il suo articolo, ma pagherà la sua determinazione a caro prezzo: nel tentativo di ricostruire l’articolata rete di contatti coinvolti nel traffico di giovani donne, Anna finisce per provare sulla propria pelle ciò che è determinata a denunciare, dopo essere stata catturata, seviziata e infine sfregiata da alcuni membri della malavita locale.

A questo punto il film cambia stile e natura, assumendo le forme di un thriller psicologico costruito attorno al tentativo di rivalsa di Anna, mentre si perde di vista la sua missione iniziale, nonché l’oggetto cruciale che dà l’avvio alla narrazione: la denuncia del traffico di esseri umani nell’area thailandese, elemento che passa lentamente sullo sfondo nella seconda metà del film.

.Non più pseudo-film d’inchiesta dunque, bensì storia di una vendetta femminile contro la brutalità di uomini bestiali. Una storia che sviluppa un intreccio rimasticato, in definitiva poco convincente al pari dell’interpretazione della Mouglalis, nonostante si faccia notare il lavoro di un ottimo reparto trucco e un tentativo dell’attrice di modulare la propria voce per farla sembrare più bassa e roca. Parliamo comunque di elementi “cosmetici” fondamentali in un film che vede un importante complice nel linguaggio del corpo umano sofferente, nella ferita aperta che riempie l’inquadratura o nelle urla straziate in fuori campo. Ma la funzione catartica della vendetta nel caso di Anna distrae dall’importante intento di partenza, dalla denuncia che pure sarebbe potuta restare facilmente il filo conduttore della narrazione. L’etica giornalistica lascia allora spazio alla morale personale della protagonista, mentre il mondo inquadrato dalla cinepresa si chiude attorno a lei e alle sue azioni, esaurendo un messaggio importante in una sterile, quando stereotipica, ricerca del carnefice.

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