domenica, Dicembre 22, 2024

Annie Parker di Steven Bernstein: la recensione

L’immagine della morte e della malattia genera sempre un forte livello di empatia e di fronte ad un film come quello di Steven Bernstein, direttore della fotografia di lungo corso qui alla sua prima prova come regista, si rischia di sovrapporre un buon numero di emozioni esterne alla cornice dell’opera, non che questo sia  un male, ma non è certamente casuale se buona parte della stampa che ha già parlato del film in previsione della sua uscita italiana nelle sale, si sia trincerata dietro un accorato senso civico attento a ricordare l’importanza della prevenzione, nel lungo e accidentato percorso della ricerca sul cancro.

In questo modo si confina il film di Bernstein in una dimensione “utile” oppure nella definizione altrettanto scivolosa di “opera necessaria”, condizioni evidentemente sufficienti per poterne consigliare la visione, senza tener conto che quel rapporto tra finzione e vita, spesso ambiguo e doloroso, è un crocevia importante nell’esperienza che mette in relazione l’esterno e l’interno di un set; un esempio di questo scambio vitale è nel recente film di Carlo Shalom Hintermann, The Dark Side of the sun

“Annie Parker”, distribuito negli Stati Uniti con il titolo molto più suggestivo di “Decoding Annie Parker“, chiara allusione alla questione genetica che ne rappresenta il centro tematico, sceglie in realtà la forma del racconto storico-generazionale, in un arco temporale che procede dagli anni 70 fino ai ’90, per elaborare uno sguardo sull’evoluzione della ricerca impegnata a comprendere le origini del cancro al seno. Il lungo calvario della Parker è una delle colonne portanti della letteratura medica; protagonista di una lunga serie di decessi per cancro che colpisce la sua famiglia, la donna maturerà alcune ipotesi sulla possibile ereditarietà del fenomeno, in un percorso personale e parallelo a quello di Mary-Claire King (Helen Hunt), nota genetista in lotta con la ricerca dominante, ostile al lavoro che la condurrà alla scoperta del BRCA1, gene oncosoppressore che “codifica” (ecco il significato di “Decoding Annie Parker”) per una proteina necessaria al controllo del ciclo cellulare.

Questa relazione a distanza, condotta da un certo punto in poi con un contatto di tipo epistolare, non è apparentemente lontana da quel confronto che George Miller metteva in scena nel visionario “L’Olio di Lorenzo”, film probabilmente eccessivo ma vitalissimo nella rappresentazione dinamica tra scienza e vita comune, un’energia cinematica che manca del tutto al film di Bernstein, sfortunatamente giocato sulla sovrapposizione retorica di tutti gli elementi materiali e visivi che documentano i cambiamenti generazionali, quasi fosse l’imitatore di un imitatore del cinema di Scorsese.

Dall’archiviazione delle informazioni scientifiche ai primi, ingestibili macrocomputer, passando per la dimensione privata del decennio 70-80 osservato attraverso il menage di Annie con il marito Paul, rockstar “wannabe” dalle scarse capacità artistiche e dalle notevoli attitudini sessuali, Bernstein tiene incollato il racconto con una tiepida e indecisa gestione dei registri, non si tratta del contrasto tra commedia e dramma, distonia feroce e viva quando riesce a restituire uno sguardo onesto sull’irrazionalità della vita,  come nel caso del bel 50/50 di Jonathan Levine film scorrettissimo e commuovente allo stesso tempo, ma della medietà statica di questi elementi, che non riescono quasi mai a reagire fuori dalle regole di un’inerzia televisiva di trent’anni fa.

Gli unici momenti di vera intensità sono affidati a Samantha Morton, capace di vivere l’assalto della malattia con una partecipazione molto forte, brevi momenti di cinema che coincidono con i momenti meno filtrati del film, quelli dove l’interpretazione del dolore smette necessariamente di essere agiografica e ci parla con maggiore onestà.

 

 

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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