venerdì, Novembre 22, 2024

Ant-man di Peyton Reed: la recensione

Che la combinazione Marvel-Disney abbia già dato buoni frutti in entrambi i contesti, aprendosi a feconde espansioni dei due universi mitopoietici lo abbiamo capito attraverso una serie di produzioni, più o meno riuscite, ma sicuramente stimolanti sul piano combinatorio. Da I Guardiani della Galassia, a Big Hero 6 (analizzato da Alberto Giannini ed Elia Billero in due approfondimenti su indie-eye), da Tomorrowland a Avengers: Age of Ultron, c’è la proliferazione di un mondo ibrido che spesso instaura un dialogo fuori e dentro gli universi creativi di riferimento, chiarendo allo stesso tempo quel processo industriale che sembra aver trovato una direzione specifica nell’attraversamento dei confini. Ma se nel caso de I Guardiani della Galassia l’ipertrofia diventa occasione per spezzare il dispositivo seriale facendo entrare in modo creativo uno sguardo fortemente cinematografico, è anche vero che il gusto quasi estremo per la contaminazione in Avengers: Age of Ultron, rappresenta al contrario il rischio maggiore per alcune produzioni Marvel, quello di non sfruttare pienamente gli innesti, accumulando interpolazioni, citazioni e sconfinamenti come se si trattasse di un grande database di trovate o forse di un negozio di gadgets a cui dare una nuova spolverata.

Prima ancora che la relazione di scambio tra i due universi immaginali si realizzasse a pieno, James Mangold, con Wolverine,  aveva realizzato un’opera possente sulla mutazione, non solo per la relazione tra organico e inorganico che nel film assume una posizione centrale, ma anche per il modo in cui melò, cyberpunk, universo Marvel e sopratutto, storia del cinema (Giapponese e Americano), interagivano in un processo ambizioso dalla grande libertà combinatoria.

Ant-man, dal punto di vista attitudinale, è forse più vicino al film di Mangold che non al gioco selvaggio di James Gunn, qualificandosi come uno dei migliori prodotti usciti negli ultimi anni dalla casa delle meraviglie, per il modo in cui il territorio delle combinazioni diventa spazio ricco di riferimenti, ma allo stesso tempo nuova terra da fecondare.

Senza stare a ripercorrere la relazione tra grande e infinitamente piccolo nel cinema di fantascienza americano “in scala”, da Them a The Incredible Shrinking Man di Jack Arnold (ma ancora prima il cinema di Ernest B. Schoedsack) passando dalla visione quasi documentale di Saul Bass nel bellissimo Phase IV, fino ai doppi omaggi di Joe Dante, quello di “Mant“, film nel film inserito all’interno di Matinee e la re-interpretazione del Viaggio allucinante Fleischeriano in “Salto nel buio“, già a suo tempo contaminazione tra i corpi mutanti della fantascienza, quelli della commedia e dei cartoon di Chuck Jones, basta pensare al volto “letteralmente” slapstick di Martin Short; è abbastanza chiaro quanto questi elementi, tutti presenti nel film di Peyton Reed, vengano utilizzati per interpretare l’universo Marvel dell’uomo comune che si confronta con grandi responsabilità, alla luce di una cultura cinematografica più vasta, rispetto a quella imposta dalla fedeltà ai parametri industriali, siano quelli della fonte fumettistica originaria, che il sistema di scambi semantici tra Disney e Marvel.

A far da ponte, come succedeva per quanto riguardava il melodramma sirkiano nel film di Mangold, quelli per famiglia dell’universo Disney (tra tutti, Tesoro mi si sono ristretti i ragazzi) ma sopratutto più stagioni della commedia americana, non solo per l’impiego di Paul Rudd (Judd Apatow, David Wain, Jay Roach, Seth Rogen, Shawn Levy) nella parte di Ant-Man, ma per il progetto affidato ad uno specialista come Peyton Reed (Yes Man, Ti odio, ti lasci, ti…, Ragazze nel pallone) dopo la rinuncia di Edgar Wright, che cura comunque la sceneggiatura del film insieme al sodale Joe Cornish, allo stesso Rudd e ad Adam McKay. Firme in qualche modo tutte molto presenti, non solo nel delineare il personaggio interpretato da Paul Rudd, ma anche per il team sgangherato che questo si porta dietro, giocandosi così una carta che introduce una diversa stratificazione, oltre al cinema di fantascienza, tra la deriva demenziale di Wright e quella cameratesca di MacKay, in entrambi i casi votata a quei piccoli sabotaggi del genere, che qui vengono messi a bada per favorire la furia creativa su un piano diverso e molto più contaminato.

Perché è proprio lo spazio Marveliano, e in seconda istanza anche quello Disneyano (il giardino, la stanza dei giochi) a subire interessanti trasformazioni a contatto con i b-movies e le forme più slapstick; basta pensare al continuo spostamento del punto di vista nella dinamica del grande/piccolo come rivisitazione del cinema in green screen (tra modellini in scala e insetti ingigantiti) dove la funzionalità action si spalanca in una dimensione del tutto visionaria, con i continui “viaggi fantastici” sottoterra, nei formicai, all’interno dei circuiti integrati o nel microsolco di un vinile. Se da una parte il riferimento più esplicito e “storico” è agli esperimenti del Dr. Cyclops e alle radiazioni BX di Jack Arnold, si passa altrove quando per errore, Ant-Man ingrandisce una formica che improvvisamente diventa un mostro alla Them, oppure si immerge nella stanza della figlia, trasformando i modellini giocattolo in un parco di divertimenti che si spalanca su un’infinità di stanzette simili, da quella di Andy in Toy Story alla casa smembrata ne I banditi del tempo di Terry Gilliam.

Ant-man, anche se non rappresenta lo sforzo acuminato di un autore dalle ambizioni poetiche come James Mangold, è uno splendido esempio di cinema collettivo, che riesce a trovare una strada molto simile in termini di creatività, sguardo cinematografico e libertà combinatoria.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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