Come il titolo suggerisce, ‘António Um Dois Três’, opera prima in concorso a Pesaro del giovane regista brasiliano Leonardo Mouramateus (classe 1991) ora impegnato sul set del suo secondo lungometraggio, ha una struttura tripartita, in cui ciascuna sezione è insieme indipendente e interconnessa: il film, come un ipertesto, può essere letto come una dialettica di tre momenti in successione o come tre nuclei separati, tre diverse possibilità d’intreccio concesse alla stessa fabula.
Nella tesi del film, António è un giovane sognatore lisbonese che lascia il nido dopo uno scontro con il padre: la notte prima ha dormito fuori casa senza avvisare e il genitore, apprensivo, si è infuriato. Inoltre, in una lettera anonima, all’uomo era stato appena rivelato che il figlio aveva interrotto gli studi di ingegneria e da un anno non si dedicava ad altro che a bighellonare. Solo e senza appoggi, António si reca nell’unico luogo che gli è familiare, l’unica casa in cui è stato felice, quella della sua ex fidanzata che ora frequenta un altro. Lì incontra Débora, che ha affittato per poche ore una stanza prima di partire per la Russia. Tra i due, la prossimità fisica si trasforma, nel giro di poche ore, in intimità amorosa. La stessa vicenda, nell’antitesi del film, diviene soggetto di una pièce teatrale di un drammaturgo capriccioso: con quest’ultimo, António, tecnico delle luci, ha un rapporto di scambio creativamente fertile, ma umanamente burrascoso. Nell’ultima sezione, la sintesi: Débora torna dalla Russia e si ferma per poche ore – il tempo di una notte – a Lisbona prima di ripartire per il Brasile natale. Lasciata fuori casa dalla sua affittuaria, la ex di António, che si è dimenticata del suo arrivo, Débora si reca a teatro per assistere alla messinscena della riduzione delle ‘Notti Bianche’ di Dostoevskij. Qui si addormenta e, al risveglio, si ritrova faccia a faccia coll’attore principale, António, che la accompagna in un viaggio nella notte bianca di una Lisbona non patinata, ma comunque magica, teatro essa stessa dell’imprevisto miracoloso di un amore che nasce.
Film dal congegno circolare e complesso, ma semplice nella costruzione estetica che ripudia l’espressionismo in nome di un realismo mesto, di un intimismo più svagato che dolente, al riparo sia dalla deriva onirica che da quella struggente, ‘António Um Dois Três’ sorprende proprio per questa sua cifra autoriale che sorveglia l’autorialismo e risulta personalissima pur senza ricercarlo in modo vistoso. Al centro, i giorni verdi di una generazione che, nonostante tutto, continua a inseguire un’alternativa esistenziale al materialismo economico e al cinismo affettivo. La precarietà delle relazioni non è, allora, tragedia, ma levità intrinseca dell’esistenza, in cui chi prima era parte indistinta del sé ora è alterità, ma, dalla morte di un amore, organicamente ne nasce un altro e, con esso, la speranza che sopravviva alla notte. Lisbona, città pessoana, è scenario perfetto per un’opera che gioca con il tema delle flessioni identitarie e delle loro occasioni multiple, e per una riflessione meta-drammatica sul ruolo dell’arte scenica: consolazione e compensazione di ciò nella vita non c’è ancora o non c’è più.