A dispetto del titolo italiano con tanto si simbolo “at” per spingere l’immaginazione sui rapporti connettivi, il film di Max Nichols, figlio di Mike, considera internet semplicemente come uno strumento surrogale per l’approccio, lasciandoselo alle spalle per favorire la più confortevole chiusura entro le mura di una stanza che racchiude tutti gli elementi dell’universo giovanile.
Megan (Analeigh Tipton), in astinenza affettiva da quando è stata mollata dal fidanzato, si trova quindi nell’appartamento dello sconosciuto Alec (Miles Teller) per una notte di sesso che si trasformerà in “Two night stand“, titolo originale del film, a causa di una forte tempesta di neve che impedisce ai due ragazzi di uscire. Mentre Rick Raines (Michael Showalter), esilarante anchor man, tiene informati i cittadini con la sua striscia informativa intitolata “Apocalypse Snow”, i due ragazzi sperimentano i primi contatti e più che viverli, attraverso lo sguardo di Nichols e la sceneggiatura del quasi esordiente Mike Hammer, ne parlano, quasi si trattasse di una reciproca “conoscenza carnale” addomesticata per la generazione dei “nativi digitali”, non tanto perché i dispositivi abbiano un ruolo preciso nel film, ma perché gli elementi più emozionali della commedia romantica vengono sostituiti da un gusto per la sentenza, la frase ad effetto e la superficie delle cose da far pensare ad una riflessione sui minimi sistemi dell’amore ridotta per la fruizione social.
Se ad Hammer, formatosi non a caso con la serie “Skins”, non manca il sarcasmo necessario per accendere una certa ironia, lo sguardo di Nichols non decolla quasi mai, ancorandosi alla parola ed eseguendo un compito che ricorda la tradizione delle sit-com, tanto che i luoghi del film (la casa di Alec, la festa, il carcere) sembrano per il regista americano il porto sicuro per giocare con la gag dialogica tra personaggi, disposti nello spazio in modo inerte; basta pensare al divertente scambio di battute sulle scale della stazione di polizia dove i personaggi non si toccano mai e lo sguardo non assume una funzione viva, rimanendo allineato agli agganci della battuta.
Non va meglio nello spazio occupato dai due ragazzi; l’emozione dei corpi è quasi sempre fuori campo, trattenuta dal diaframma di una tenda, oppure, nell’unica sequenza dove si mettono in pratica le indicazioni per giocare con il sesso, montata con quel gusto patinato per il frammento illustrativo, quasi a sottolineare la diretta filiazione delle immagini con la parola.
È un vero peccato che Nichols non si sia servito al meglio di due attori intelligenti e sensibili come la Tipton e Teller; è grazie alle loro piccole incertezze che il film si avvicina impercettibilmente al nascere di un’emozione.