domenica, Dicembre 22, 2024

Arianna di Carlo Lavagna: la recensione

Arianna ha diciannove anni ma ancora non ha avuto il suo primo ciclo mestruale. All’inizio dell’estate, i suoi genitori decidono di riprendere possesso del casale sul lago di Bolsena dove la ragazza è cresciuta fino all’età di tre anni senza, da allora, avervi fatto più ritorno. Durante la permanenza nella casa, antiche memorie cominciano a riaffiorare, tanto che Arianna decide di rimanere anche quando i genitori rientrano in città.

In “Arianna” i ricordi lontani galleggiano sulle acque quiete che scorrono nel tempo; rievocazioni che porta dietro di sé e conserva. Il ritorno nella casa dell’infanzia le riporta a galla come frammenti di memoria che ha conservato dentro di se. Qui l’ermafroditismo viene raccontato come nella mitologia, quella di Ovidio con le sue “Metamorfosi” e di Diodoro Siculo: “creature che hanno la qualità di presagire il futuro, nel bene e nel male”. Con i suoi occhi azzurro acqua, Arianna riesce a trovare risposte sul suo passato, che la renderanno cosciente del suo futuro, e unendo finalmente quelle tre esistenze che ha vissuto durante i suoi vent’anni, prima prive di senso.

I corpi giovani e nudi così ricorrenti nella storia, le ricordano il piacere primordiale che tenta ma non riesce a provare, anche quando perde la verginità con un ragazzo della sua età, dapprima non capendone il motivo. Poi arrivano le visite ginecologiche, fredde, scientifiche e affollate degli sguardi scrutatori dei medici intenti a capire il perché di quel corpo sterile e di quelle forme androgine. Arianna è così ossessionata da questo suo “deficit” che sogna di trovarsi distesa su un letto per sanguinare. Il sangue che lei considera la sua redenzione, la quale passa per una profonda esplorazione del proprio corpo: guardandosi allo specchio, masturbandosi.

Lo sguardo di Arianna percepisce affamato e curioso ciò che la circonda; le sue chiare pupille riflettono situazioni di “normalità” dalle quali è attorniata e in cui si vorrebbe trovare, per decifrarle. Lei, in fondo, è vittima di una bugia, quella che i suoi genitori le hanno inculcato nella mente sin da quella operazione che a tre anni l’ha evirata/o, dunque vittima di una scelta non sua, che è condanna perenne al conflitto identitario.

L’indagine sulle immagini di cui il film è colmo, si traduce poi in un dipanamento del filo: Arianna passa continuamente dall’atto di guardare a quello di soggetto della visione altrui, tenta vari abbinamenti, sino a trovare il suo personale “orgasmo”. Non vero e proprio, d’altronde non ne sarebbe capace, ma una sorta di soddisfacimento sensoriale proveniente appunto dall’atto di guardare qualcun altro.

Carlo Lavagna, con questa sua opera prima, mette in scena il sogno di essere una donna che lo accompagnava nel sonno da bambino. Non comprendendone le cause reali, applica qui una catarsi su se stesso e tenta di trovare le risposte alle proprie domande esistenziali. Un film che proviene da lontano, dunque immerso nelle acque più profonde, pronto a riemergere non appena si prova a ricordarlo

Rachele Pollastrini
Rachele Pollastrini
Rachele Pollastrini è curatrice della sezione corti per il Lucca Film Festival. Scrive di Cinema e Musica

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