Per Ianis (Markos Osse), sette anni, è un trauma difficile da superare. Lì è rimasto il nonno Vassilis (Tassos Bandis) dotato di nazionalità turca, astronomo e gastronomo, proprietario di un negozio di spezie e filosofo della cucina creativa. Ha introdotto il nipote ai misteri dell’etere usando le spezie per tracciare le carte astronomiche e a quelli della cucina, dettandogli quei segreti che ogni super chef tiene sempre per sé.
A Istanbul è rimasta Saime (Basak Koklukaya), il primo e forse unico amore della sua vita, una bambina che giocava e danzava per lui nel soppalco del nonno e che ritroverà, adulta e sposata ad un militare di stanza ad Ankara (strane coincidenze della vita, era quel ragazzino antipatico entrato nel negozio del nonno col padre, pezzo grosso della nomenklatura turca). Il nonno, per trent’anni, prometterà di raggiungerlo in Grecia ma non lo farà mai. Saime lo abbraccerà piangendo in stazione, quando Ianis finalmente riuscirà a tornare sul Bosforo per salutare il nonno in coma, ma poi se ne andrà ad Ankara col marito, che pare non ami granchè, e la figlioletta, che tanto somiglia a lei da piccola. Ianis adulto (Georges Corraface), figura estremamente romantica nel suo cappottone grigio e capello folto e disordinato, ha avuto il destino segnato fin da piccolo: è diventato astrofisico di fama mondiale e cucina da dio.
Nulla di tutto questo, però, gli ha dato la felicità, a quanto sembra. Dal ponte sul Bosforo il suo sguardo triste si perde in lontananza, impigliandosi sui minareti aguzzi della moschea di Solimano.
Il plot, se solo la regia ci fosse stata, sarebbe stato intrigante. Stabilire un parallelismo tra la storia tragica dei popoli nel secondo dopoguerra e arte culinaria in cui individuare il senso delle proprie tradizioni e l’attaccamento ad una Patria, poteva ricalcare la geniale stravaganza che animò lo spirito della Commedia, genere teatrale in cui la Grecia ottenne giustamente il primato.
Ma la regia non c’è, o meglio, c’è e va imperterrita per la sua strada, che è quella del bozzettismo, della lacrima o della risata a buon mercato, delle inquadrature cartolina e della melassa, più che zenzero, sparsa a piene mani. L’insieme può anche risultare gradevole per palati avviliti dalla dieta punti, che qui possono rivalersi, almeno visivamente. Certo migliore nella seconda parte, dove il repertorio delle frasi celebri e delle macchiette sembra finalmente esaurito e il registro narrativo si attesta su toni più intimistici, non riesce comunque ad essere il gran film che la candidatura alla nomination agli Oscar 2005 come miglior film greco e il gran successo di botteghino (nove milioni di dollari solo in patria, dodici milioni di euro su scala mondiale) farebbero pensare.
Fra passato e presente, flashback e piani sequenza ad incardinare il presente filmico, lo sforzo continuo di elevare la cucina a filosofia di vita genera noia e incredulità, soprattutto al pensiero di come si voli con semplicità priva di leggerezza su fatti che, pure, sono lì, fuori dalla cucina, e sono i colonnelli in Grecia, il ricatto tra islamizzazione ed espulsione, nazionalismo e deportazione, la dolorosa vicenda di Cipro, 1619 persone arrestate e da allora desapareçidos.Fra Grecia e Istanbul, da Costa Gravas ad Anghelopulos, da Fathi Akin a Nuri Bilge Ceylan e Yilmaz Güney, si è ben trovato il modo di fare qualcosa che vada oltre lo spot da ente turistico e, soprattutto, senza spezie!