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Beach Bum – Una vita in fumo di Harmony Korine: recensione

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Tra i grandi esordi cinematografici bisognerebbe ricordare anche Gummo, che nel 1997 portò all’attenzione del pubblico il giovanissimo Harmony Korine, da quel momento paladino del cinema indipendente. Nel suo primo film Korine conduceva lo spettatore nella più profonda provincia statunitense, della quale era stato capace come pochi altri di catturare il grottesco, surreale fascino, in un film dove “bello” e “brutto” assumono confini assai labili.

Per anni Korine ha poi stentato a mantenersi all’altezza del suo nome, e nei 15 anni successivi ha realizzato solo tre film, incapaci di avere lo stesso impatto di Gummo. Poi nel 2013 ha girato Spring Breakers. Tra chi lo ha accusato di alimentare la cultura dello stupro (The Guardian) e chi invece vi ha visto un’anima femminista (Rolling Stone), questa epopea lisergica di tre ragazze che durante le vacanze di primavera finiscono per diventare gangster ha polarizzato la critica e portato Korine a un successo che non aveva mai conosciuto prima.

Il suo ultimo film, Beach Bum, sembra portare avanti una poetica simile. Un po’ Charles Bukowski e un po’ Hunter Thompson, ma con il nome del musicista senza fissa dimora che per cinquant’anni ha suonato sulla 6th Avenue a New York, Moondog è un poeta di enorme talento il cui tempo però spende tra droghe, alcol e donne. La moglie lo ama anche per la sua stravaganza, ma troverà un modo per obbligarlo a completare il suo nuovo libro, fermo da anni.

Korine ricorre ai colori brillanti e al montaggio frenetico che già caratterizzavano Spring Breakers, un’estetica in apparenza lontana dalla messa in scena cruda e sgradevole di Gummo. Eppure tra quest’ultimo e Spring Breakers c’è tanto in comune. In entrambi Korine era stato in grado di raccontare due mondi lontani eppure entrambi intrinsecamente statunitensi, squilibrati e violenti.

Lo sguardo di Korine non è mai indulgente e sbatte davanti alla camera la deformità esteriore o interiore dei suoi personaggi, freaks che non sanno di esserlo o forse sono felici di esserlo. Inclemente Harmony Korine, sì, ma non cinico e se riesce ad avvicinarsi tanto a qualcuno è perché prova per lui un amore scevro da pietismi. L’empatia diventa allora forma e quei due film assumevano l’aspetto di ciò che raccontavano. Ecco spiegata l’apparente distanza tra Gummo e Spring Breakers, sporco come la meschina periferia statunitense il primo, sfolgorante come la superficie della party culture il secondo; in quest’ultimo caso non pochi hanno confuso forma e contenuto, senza vedere quali mostruosità si celassero sotto le patinate apparenze del film.

Questa lunga premessa è necessaria per capire cosa invece proprio non funziona in Beach Bum. Che è si divertente, intriso com’è dell’ironia cattiva di Korine, ma per la prima volta il regista sembra cedere alla romanticizzazione di ciò che narra. Moondog è l’ennesimo genio sregolato rappresentato senza macchia. Nella prima scena raccoglie un gattino randagio e questo gli garantisce subito la nostra simpatia, poi nulla di ciò che fa ha delle vere conseguenze. Lo vediamo compiere una serie di atti che potrebbero renderlo un personaggio complesso fatto di luci e ombre, eppure nessuno di questi ha un impatto su di lui, né tantomeno sul plot. Quando ad esempio finisce in un centro di riabilitazione, fugge meno di cinque minuti dopo seminando il caos, senza che questo episodio assuma però la minima rilevanza all’interno della storia.

Il film va dritto per la sua strada sino a un finale con la facile morale contro la ricchezza, dimenticandosi tutto quello che rendeva grandi Gummo e Spring Breakers. La messa in scena vorticosa si riduce qui a mero stile, annacquato tra l’altro rispetto all’estremismo di Spring Breakers. Manca l’ambigua duplicità della rappresentazione. E dire che un personaggio in teoria così liminare poteva essere un perfetto antieroe per il cinema di Korine.

Sono però pochi, pochissimi i registi capaci di resistere al fascino dell’artista maledetto che maledetto non è. Più facile raccontare debolezze e manie come pecche irrisorie o addirittura romanticizzarle per non rischiare di perdere l’affezione del pubblico. Sono stati capaci di evitarlo Derek Jarman in Caravaggio, Lenny Abrahamson in Frank, John Maybury in Love is the Devil, per fare qualche esempio.

Beach Bum invece non riesce a essere più di una favola ironica e allucinogena, spassosa anche grazie a un Matthew McConaughey sempre sopra le righe e chiaramente divertito nell’interpretare Moondog. Al suo personaggio non si può non voler bene. Proprio qui sta il problema. Di solito lo spettatore empatizza con i personaggi di Korine nonostante la loro repulsività, che ora è venuta a mancare. E se è giusto che un regista tenti nuove strade, quello che era il cuore del cinema di Korine non ha trovato in Beach Bum qualcosa che prendesse il suo posto. Rimane il divertimento.

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