El premio di Paula Markovitch (Messico, Francia, Polonia, Germania 2011)
E’ la spiaggia di San Clemente del Tuyù in tutta la sua forza creativa e distruttiva, il cuore del lungometraggio di debutto dell’argentina Paula Markovitch; scavo interiore e autobiografico che racconta la formazione dolorosa e rovesciata sotto il peso di un regime attraverso i sensi di Ceci, una bimba di nove anni in fuga con la madre dalle persecuzioni della dittatura e nascosta in condizioni di semi clandestinità in una baracca in riva al mare. (leggi l’articolo completo )
Life in a Day di Kevin McDonald (Uk, 2011)
Se Pauline Kael, dopo l’uscita di Addio Zio Tom si trovò a definire Jacopetti e Prosperi come i cineasti piu’ perversi e irresponsabili mai esistiti, Kevin McDonald compie un’operazione di asfittica responsabilità in un territorio dove niente può essere considerato vero e niente può essere considerato falso (leggi l’articolo completo)
Schlafkrankheit di Ulrich Köhler (Germania / Francia / Olanda, 2011)
Sulla carta Schlafkrankheit ha tutta l’aria di un’Opa targata Berliner Schule al massimo premio della Berlinale, in quanto si parla d’Africa, Europa, rapporti umani in crisi e il film vanta una costruzione spiazzante, “da festival” per intenderci. (leggi l’articolo completo)
True Grit di Joel e Ethan Coen (Usa, 2011)
I Coen cavalcano il testo di Portis in maniera sobria e puntuale, limitando al minimo invasioni di campo e zampate grottesco-surreali. Per gli amanti del genere, True Grit è un piattone di fagioli e cipolle servito al saloon, un western a base di sentieri selvaggi, cadaveri e compari, fiumi da guadare e proiettili dritti al cuore, Leon. (leggi l’articolo completo)
Auf der Suche di Jan Krüger (Germania / Francia, 2011)
Una strana coppia di tedeschi s’incontra a Marsiglia e apre la porta di un appartamento chiuso col lucchetto, perché poche ore prima ha fatto irruzione la polizia a colpi d’ascia. (leggi l’articolo completo)
Yelling to the sky di Victoria Mahoney (Usa, 2011)
E’ certamente uno sguardo femminile importante quello della Mahoney, proprio nel lavorare sull’assimilazione della violenza come eredità prevalentemente maschile con i mezzi di un racconto di formazione molto semplice e rovesciato. (leggi l’articolo completo)
Vampire di Shunji Iwai (Usa, 2011)
Il nuovo film di Shunji Iwai è un diseguale ma importante esperimento sulla mutazione dell’immagine digitale e sul modo in cui noi percepiamo gli spazi di una coscienza condivisa (leggi l’articolo completo)
Cave of Forgotten dreams di Werner herzog (Germania, 2010)
Per Herzog il 3D è un’arma primordiale, necessaria, stupefacente nel senso pieno del termine (leggi l’articolo completo)
The Future di Miranda July (Usa, 2011)
Miranda July mette nuovamente in scena se stessa nel triplo ruolo di interprete, Metteur en scène, performer e artista visuale (leggi l’articolo completo)
Die Jungs vom Bahnhof Zoo di Rosa von Praunheim (Germania, 2011)
È un Rosa von Praunheim in forma smagliante quello dei “ragazzi della stazione dello zoo”, lo zoo di Berlino. Un titolo originale che fa il verso a Christiane F. e ai suoi “Kinder vom Bahnhof Zoo”, letteralmente bambini, o perlomeno minori, dediti a varie attività autodistruttive nei pressi della stazione ferroviaria più grande della vecchia Berlino ovest (leggi l’articolo completo)
Nader and Simin. A Separation di Asghar Farhadi (Iran, 2011)
A separation, mette da parte qualsiasi forma di simbolismo esplicito e collocato sopra al ritmo della vita, favorendo uno stile diretto e sostenuto da un montaggio che diventa a poco a poco un rarissimo esempio di cinema dello sguardo dalla commovente potenza polifonica (leggi l’articolo completo)
A Torinói ló – A Turin Horse – di Béla Tarr (Ungheria, Francia, Germania 2011) E’ una cosmogonia rovesciata quella del nuovo film di Bela Tarr; all’interno di una casa isolata in mezzo alla puszta ungherese il vecchio cocchiere (János Derzsi) vive con la figlia (Erika Bók) nei sei giorni in cui il film è diviso, Tarr trasforma i gesti più comuni in movimenti di possente ritualità (leggi l’articolo completo)
Mondo Lux – Die Bilderwelten des Werner Schroeter di Elfi Mikesch (Germania, 2011) Mondo Lux testimonia gli ultimi due anni e mezzo della vita di Schroeter, e li alterna a una discreta selezione di scene tratte dalla sua ampia, sofferta filmografia. Sì, perché nonostante l’Orso d’oro nel 1980 per Palermo oder Wolfsburg, Schroeter non ha mai avuto vita facile con produttori e distributori, che l’hanno ostracizzato a ogni piè sospinto. (leggi l’articolo completo)
Come Rain, Come shine di Lee Yoon-Ki (Corea, 2011) Tratto dal breve racconto del Giapponese Areno Inoue “The Cat that can never come Back” il nuovo film di Lee Yoon-Ki è una sintesi di tutto il lavoro sullo spazio del regista Coreano, che con Come Rain, Come Shine giunge alla sua sesta regia, incluso il misconosciuto e bellissimo film per la televisione intitolato The hard Goodbye. (leggi l’articolo completo)
Unknown – Senza identità di Jaume Collet-Serra (USA / UK / Germania / Francia / Canada / Giappone, 2011) L’etichetta “psychothriller”, che ha rivoluzionato la top ten libraria tedesca degli ultimi anni, si applica a vicende di solito machiavelliche, kafkiane e labirintiche in cui il protagonista soffre di allucinazioni e perde ogni certezza percettiva e identitaria. In Unknown succede proprio questo (leggi l’articolo completo)