Martin Strel è un ex giocatore d’azzardo ultracinquantenne, che insegna chitarra flamenca, pesa ben più di cento chili e rasenta l’alcolismo. Martin Strel è anche e soprattutto un ultramaratoneta di caratura mondiale, detentore del record assoluto di distanza percorsa a nuoto e autentico patrimonio nazionale nella natia Slovenia. Dal 2000 gira il mondo insieme al figlio Borut, insostituibile organizzatore ed ufficio stampa, trovando ogni volta un grande fiume da percorrere a bracciate: il Danubio, il Mississipi, lo Yangtzè, in un misto di sensibilizzazione ecologista, sublime naturalistico herzogiano e masochistica sfida con sé stesso. Nel 2007 Martin è partito per l’ultima folle impresa: i 7000 Km del Rio Delle Amazzoni percorsi in 70 giorni, tra coccodrilli, piranha e infezioni potenzialmente mortali. La troupe di John Maringouin l’ha seguito giorno dopo giorno, bracciata dopo bracciata, difficoltà dopo difficoltà. Il risultato è questa sorta di Cuore di Tenebra edizione amazzonica, agevolato dal profilo alla Marlon Brando di Strel e dall’ambientazione evocativa del grande fiume che sovverte ogni tentativo di civilizzazione. Accolto come un semidio da peruviani, brasiliani e indios, Strel viene accompagnato nella discesa in questi inferi lussureggianti dalla voce narrante del figlio Borut, novello Willard, e dai deliri in stile Dennis Hopper del navigatore di fiducia. Man mano che l’Uomo del Grande Fiume disobbedisce agli ordini di medici e familiari e piomba in uno stato di pacificata irrazionalità, Maringouin piega il racconto documentario ad epopea emozionale, attraverso un montaggio sempre più invadente, coscientemente confusionario ed espressionista. L’enfasi umanitaria perde il suo focus sui contorni della figura di eroe solitario e straniato dal mondo, che sembra nuotare più contro i propri demoni che a favore di una causa. Inoltre, nonostante il messaggio ecologista che dovrebbe veicolare, la natura di Big River Man non ha nulla di edulcorato e presenta anzi contorni da matrigna dominatrice tipici della tradizione Romantica o, come già accennato, del cinema di Herzog. L’innegabile fascino delle immagini e la stravaganza del personaggio hanno fruttato al film il Premio Lancia per il miglior film del Biografilm Festival, dopo il riconoscimento per la fotografia ottenuto all’ultimo Sundance. Vittoria tutto sommato meritata, nonostante sorga il dubbio della messa in scena di qualche episodio topico (su tutti il ricovero in ambulanza, con il figlio allontanato mentre legge al padre il discorso che aveva preparato per lui, e l’isolamento in albergo in compagnia di un improbabile stregone-burattinaio).