BlacKkKlansman è una sveglia che squilla nel mezzo di un incubo ma anche una sinfonia per la rara capacità di questo autore di destreggiarsi con toni diversi, sapendo passare dal polemico al brillante, dal comico al serioso.
Un film d’epoca, ambientato alla fine degli anni Settanta, che si muove di continuo nel tempo e gioca con il nostro immaginario cinematografico. Si parla di Ron Stallworth, John David Washington, che con la sua montagna di capelli crespi ben pettinata fa due cose sorprendenti. Diventa “la Jackie Robinson della polizia”, come lo definisce il capo, e si infiltra nella sezione del Ku Klux Klan di Colorado Spring.
Ron è un bravo ragazzo, non è un “porco”, così come la sua ragazza giudica tutti i poliziotti della città, e neanche una Black Panther. È diligente e porta avanti l’indagine con impegno, si diverte. Il dipartimento di polizia è un luogo composito, ci sono quelli razzisti coperti per senso di fraternità dagli altri e quelli normali. Poi ci sono gli agenti speciali, Zimmerman, interpretato da Adam Driver, e il collega, Michael Buscemi.
L’alchimia tra Washington e Driver è incredibile, non solo si divertono in modo meraviglioso, ma è affascinante osservare i modi con cui tentano di riecheggiare e parodiare le idee razziste dei loro compagni di organizzazione durante le indagini. Zimmerman, ovviamente ebreo, ha ignorato il razzismo fino a questo punto, ha lasciato che quello che succedeva altrove non lo interessasse ma una volta sprofondato nel Klan la sua posizione comincia a cambiare. In una scena del film confesserà a Stallworth: «Sono ebreo, sì, ma non ero cresciuto per esserlo … Ero solo un altro ragazzino bianco e ora sono in un seminterrato a negarlo ad alta voce. Non ci ho mai pensato molto, ora ci penso tutto il tempo».
Non c’è nessun personaggio di contorno, ognuno ha la propria personalità ben definita, schietta e senza sbavature, come Patrice, la ragazza di Ron, presidentessa del club universitario o la moglie immacolata e raggiante di uno dei membri del Ku Klux Klan che trova piena soddisfazione a letto con il marito sospirando su quanti negri sarà in grado di uccidere. Poi c’è il mellifluo e insidioso Topher Grace, che interpreta David Duke, grande capo della setta, anche se a loro piace chiamarla Organizzazione e danno cappucci e vestaglia a parte perché le spese da sostenere sono diventate troppe.
Spike Lee costruisce un film perfetto, inserisce Kwame Ture, un attivista di lunga data invitato a tenere un discorso per la Colorado College Black Student Union e trasforma la sua orazione in una scena teatrale, in cui i volti degli uditori si tramutano in tableau vivant, un piccolo omaggio alla bellezza nera, quasi un atto d’amore da parte del regista. Ma anche le lunghe conversazioni fatte passeggiando tra Ron e Patrice per discutere dei meriti di Ron O’Neal contro quelli di Richard Roundtree fanno entrare quel tipo di cultura pop propria di Richard Linklater e ci immergono nella quotidianità del presente.
Lee non si ferma qui, inserisce una serie di riferimenti, di citazioni che portano lo spettatore a guardare con i suoi occhi quello che succede e fare i collegamenti che lui vuole. BlacKkKlansman si apre con una scena epica tratta da “Via col vento”, campo lungo, un terreno disseminato di cadaveri e feriti, Scarlett che cammina, la bandiera confederata a brandelli che continua ostinatamente a sventolare. C’è ancora nostalgia per quell’antica ferita e per quell’idea malsana per cui quella guerra si è combattuta, antichi privilegi e il primato della propria razza. Idea rafforzata poco dopo da un Alec Baldwin irriconoscibile che nei panni di un ideologo suprematista sputa sentenze che ti fanno rabbrividire mentre non riesci a contenere il riso. Spike Lee sovrappone temi alla trama principale ed è spietato, durante il banchetto di iniziazione degli adepti organizzato dal Signor Duke, il regista trasforma in caricature quegli spettatori che urlano e commentano un capolavoro della storia del cinema, “La nascita di una nazione” di D.W. Griffith, una mostruosa fabbricazione che rinvigorì le vecchie paure e riaccese immediatamente lo spirito del Ku Klux Klan. Ma il termine ultimo di paragone sarà alla conclusione del suo lungometraggio con il montaggio di un filmato di un’auto che sbatte contro un raduno antirazzista a Charlottesville, in Virginia, un anno fa, in cui una ragazza perse la vita.
A questo punto viene da domandarsi se questo scambio di battute non sia rivolto a noi: «L’America non eleggerebbe mai a presidente qualcuno come David Duke», dice Ron mentre il sergente gli risponde piccato: «Perché non ti svegli?».
BlacKkKlansman utilizza la storia per illustrare come questa si stia ripetendo, Lee sottolinea un’eterna e ingiusta ciclicità nell’apertura mostrata nei confronti di chi pensa che l’odio sia non solo giustificato ma un motivo serio per fondarci la propria esistenza.