Al loro terzo lungometraggio, gli studi di animazione Laika proseguono sulla loro personalissima direzione tematica, raccolta in eredità dal maestro Henry Selick dopo Coraline e lo specchio magico: la trattazione funambolica e quasi pedagogica dell’elemento horror in prodotti per ragazzi, declinato lungo uno spettro capace di distendersi agilmente dal terrore atavico fino alla tenerezza per il diverso, passando per il brivido gotico e il comico grottesco. Molto liberamente tratto dal romanzo illustrato Here be Monsters di Alan Snow, The Boxtrolls mette visivamente in discussione i concetti di bello e brutto, spaventoso e divertente come nessuno Shrek o Cattivissimo Me è stato in grado di fare.
Un ameno borgo in cui economia, politica e vita sociale si basano interamente sul commercio del formaggio, viene sconvolto una notte dalla sparizione di un neonato. Gli inscatolati mostriciattoli del titolo, che abitano il sottosuolo della cittadina ed emergono nottetempo in cerca di oggetti meccanici da riciclare, vengono da quel momento accusati di essere creature sanguinarie e per questo perseguitati dalla banda di disinfestatori del lugubre e ambizioso Archibald Snatcher, che punta a guadagnarsi un posto nella prestigiosa Sala degli Assaggi riservata all’aristocrazia della città. I boxtrolls non sono però malvagi come si dice, e il neonato scomparso è ancora vivo e si crede uno di loro.
A differenza della folta schiera di mostriciattoli animati (i Minions della Universal, ad esempio, o gli spaventatori professionisti di Monster&co) i laboriosi troll della Laika indiscutibilmente mostruose e spaventose in maniera credibile, rivelandosi innocui e teneri solo nella narrazione della loro quotidianità (nella quale, in ogni caso, li vediamo inghiottire insetti . Attorno a loro, comuqnue, nessuno può inserirsi nella categoria dei belli: tratti aggressivi e caricaturali sono comuni a tutti gli umani, e persino i due ragazzini protagonisti sfoggiano dentature sghembre e faccioni ovali.
L’elemento mostruoso è di fatto parte integrante dell’universo narrativo e si riflette in maniera coerente sulla narrazione, tanto che alcune delle gag più divertenti si giocano sul filo del disgusto e includono deformazioni facciali e l’uso improprio di sanguisughe. È nel tentativo di nascondere o abbellire le comuni deformità che si generano equivoci o prevaricazioni: dai vanitosi cappelli utilizzati per distinguere le classi sociali, al travestimento femminile con cui Archibald imbonisce i concittadini, per finire con le scatole in cui si nascondono i troll, da cui dovranno separarsi (accettando le proprie fattezze) per redimersi agli occhi della città.
Persino il già citato villain (magistralmente affrescato dalla voce di Ben Kingsley, che avrà dato del gran filo da torcere al doppiaggio italiano) è tale perchè non riesce ad accettare che un’allergia al formaggio lo tagli fuori dal pasteggiare col bene ritenuto più prezioso dalla comunità. Ma è nei suoi tre scagnozzi che il meccanismo di autodeterminazione viene mostrato in maniera più evidente e metanarrativa: se il piccolo Mr. Gristle risulta malvagio perchè si identifica nella pura esecuzione degli ordini che gli vengono assegnati (tanto da esprimersi a voce solo per affermare le azioni che sta eseguendo col corpo), i frequenti dialoghi tra Mr. Pickles e Mr. Trout ruotano attorno alla loro falsa percezione di sè personaggi positivi, confermando come sia la presa di coscienza dei propri difetti il fulcro centrale della narrazione.
Dal punto di vista tecnico, Boxtrolls si distingue per l’introduzione nella stop-motion del massiccio utilizzo della stampa 3D, che ha permesso di realizzare in tempi brevissimi un numero impensabile di espressioni diverse per i volti dei modelli di scena, alcune realizzate specificatamente per un determinato fotogramma di una determinata sequenza. Le tecnologie digitali che ormai da anni supportano l’animazione in passo uno a livello di montaggio e compositing, irrompono così prepotentemente anche nell’ambito finora sacralmente artigianale della costruzione dei pupazzi. In termini di fluidità e definizione espressiva, si tratta di una miglioria assimilabile ai progressi nella motion capture e ai 48fps di Stephen Jackson o alla continua moltplicazione esponenziale dei pixel processabili in un fotogramma di computer grafica. Ma se da un lato The Boxtrolls mette in mostra l’ultima scintillante integrazione tecnologica, i registi, in linea con la morale raccontata, si premurano di svelare con orgoglio la natura artigianiale e a suo modo anacronistica dell’animazione stop-motion: è questa la funzione della scena bonus inserita dopo i titoli di coda, una delle più spassose e commoventi a memoria di cinefilo, non a caso affidata ai due scagnozzi filosofi di cui sopra, scena in cui quale l’ironia destabilizzante di tutto il film finisce per investire (e contemporaneamente celebrare) l’interminabile e affascinantissimo lavoro degli animatori di pupazzi.