John Swetnam scrive e dirige questo raccontino di formazione ambientato nella Los Angeles degli street dancers dopo aver partecipato alla sceneggiatura di Step Up All in, l’ultimo e il peggior capitolo della saga, diretto da Trish Sie.
Da quel film Swetnam riprende tutta la patina e lo scenario di una Los Angeles televisiva e glitterata, riducendo al minimo l’impatto della suburbia e le ambientazioni di confine, che caratterizzavano gli esperimenti migliori del genere, su tutti Step Up 3D di John Chu e Streetdance di Giwa/Pasquini.
E se gli sfondi sono quelli di una galleria, di un giardino di periferia e di qualche zona urbana dismessa, sono appunto sfondi decorativi per favorire l’approccio frontale del numero, con le coreografie regolate per il pubblico di Youtube, teatro centrale del film, più per una questione di superficie che di comprensione del formato.
Anche il tentativo di far esondare il numero della crew in qualsiasi contesto, come se fosse una rilettura dei set espansi nel corpo della città del Fame di Parker, alla luce dei nuovi dispositivi smart, è freddissimo e più vicino a certe produzioni televisive con un target adolescenziale dove la visione è del tutto omologata e non certo frammentata dalla proliferazione dei mezzi portabili.
L’approccio found footage tanto sbandierato in fase di pre-produzione è in realtà un orpello ai limiti del ridicolo, con questo ragazzino traumatizzato da un brutto evento famigliare che senza proferir parola segue il fratello talent scout con una videocamera pro, per documentare tutto della vita di un gruppo di ballerini scoperti in rete e pronti per esser lanciati nella scena dei grandi contest di ballo e dei video virali ad alta diffusione.
Artiglieria pesante e quasi vintage in confronto ai dispositivi che ovviamente filtrano la realtà di tutta la crew, dagli smartphone ai notebook fino alle webcam nascoste per azioni di bullismo a sfondo sessuale.
Tutto è costantemente spiato e ri-quadrato, persino il bacio finale tra Casey e l’amico di infanzia, con i compari in screencast a fare il tifo dalla finestra del portatile.
Grana grossissima e del tutto esplicitata, per esaltare le performance di Sophia Aguiar e poche altre digressioni (Les Twins, Anitta in coda) con un’impalcatura esile proprio dal punto di vista performativo, che ancora una volta, strizza l’occhio in modo semplificatissimo a Fame e a Flashdance senza puntare veramente sul corpo e sui numeri della Aguiar, tenuta a distanza di sicurezza e immersa tra una serie di simulacri visual proprio durante l’unico numero completo.
E anche tutti i corpo a corpo, le battaglie fino all’ultimo passo e gli scontri acrobatici dei Breakdancers, vengono completamente rimossi per far spazio ad un tiepidissimo pasticcio senza identità e molto meno vitale di qualsiasi fanvideo studiato per la diffusione in rete; quando in un film del genere manca il ritmo e il coraggio di ingaggiare una lotta tra corpo, musica e punto di vista, viene meno la natura reale di tutta l’operazione: il divertimento.