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By the sea di Angelina Jolie: la recensione

Angelina Jolie afferma di citare Godard, cercando di scorgere dalla costa francese, che in realtà è Malta, l’orizzonte osservato dai personaggi de “Il disprezzo” mentre percorrono le geometrie razionaliste di Villa Malaparte al confine con lo scenario naturale, ma By the sea, esasperando certe atmosfere dei film “in pieno sole” di Deray e Clement, risulta alla fine lontano anche da quel cinema e più vicino all’euro-trash de “La Volpe Dalla Coda di Velluto“, film di un José María Forqué già stanco nonostante Azcona e influenzato dall’Umberto Lenzi tra i sessanta e i settanta, quello dei thiller malsani e psicoanalitici (Orgasmo, Così dolce…così perversa, Paranoia).

Con quel cinema, al netto della perversione “nera” presente solo nello spazio privato, condivide l’ossessione per le superfici, il voyeurismo esplicito come metafora evidente di un desiderio rimosso e la relazione posturale del corpo con l’ambiente. Del trailer commentato dalla musica di Harry Nilsson con cui ci eravamo divertiti ad immaginare un altro film, non rimane neanche il brano del cantautore newyorchese, il cui unico riferimento sembra riemergere quando la Jolie e Pitt ballano sulle note ri-orchestrate di Caroline, canzone crepuscolare scritta esplicitamente da Randy Newman per lo stesso Nilsson e che deprivata dalle liriche, assume semplicemente un valore descrittivo.

By the sea allora diventa un eccessivo e improbabile film da camera, esteriormente concepito a partire dalla crisi attraversata dai due attori, ma totalmente concentrato sulla presenza iconica della Jolie, corpo negato e martoriato, sempre in scena ma segregato dal mondo, mentre cerca di occupare nuovamente quello spazio rappresentativo che una malattia oscura le ha tolto.

La Jolie si filma allo specchio, letteralmente, fin dall’inizio, con quella posa inarcata sulla sedia, i piedi nudi tesi nella postura di una danzatrice durante lo stretching e allo stesso tempo mette in scena un’incredibile inerzia performativa: immobile sotto il sole, coperta con gli abiti di una diva del passato, abbandonata ai bordi del letto, oppure di nuovo davanti allo specchio per l’allestimento di un fulgore fasullo, quello che le consentirà di mostrarsi nuovamente in pubblico per alimentare la corruzione della coppia più giovane che alloggia al di là del muro.

Nel rispecchiamento esplicito che Roland (Brad Pitt) e Vanessa (Angelina Jolie) cercano attraverso il buco nella parete c’è un continuo gioco incrociato di riflessi che alludono alla messa in scena dei propri corpi e all’impossibilità di mostrarli, tanto da negarne l’esistenza quando Vanessa si troverà improvvisamente dall’altra parte. L’unica esplorazione corporea possibile è quella mentale e mnestica che ricorre come una serie astratta di flashback, ma che sostituisce l’immagine mentale con quella scientifica dell’ecografia vaginale o di un processo di endometriosi in corso, immagini “brutte” come l’eiaculazione filmata da una radioscopia in Puffball, l’ultimo film diretto da Nicolas Roeg nel 2007, immaginifico viaggio nell’abisso di una coppia.

Immagini “brutte” si diceva, come “brutto” e brutalmente emerso in superficie è tutto By the sea, sguardo sull’immagine-corpo che persiste drammaticamente al proprio riflesso.

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