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Ca’ Foscari Short Film Festival: seconda giornata

E’ Fallin awake, dell’indiano Ryan Demello, ad aprire la seconda giornata di concorso internazionale. Prodotto dal Satyajit Ray Film & Television Institute, il film è incentrato sulle difficoltà, sulle incomprensioni e sulle oscure pulsioni che covano in una famiglia all’indomani di un lutto: la morte del padre-marito. Shaun, il ragazzo protagonista, un giorno riceve una misteriosa lettera che contiene dei filmati (che ricordano quelli di Niente da nascondere di Haneke) nei quali viene ripresa la sua abitazione e mostrati possibili eventi futuri nient’affatto lieti. Un monito che servirà al giovane per placare le sue rabbie e ricucire il rapporto con la madre. Un corto molto sincero, che va dritto al sodo senza giri di parole. No estàn juntos, dell’argentina Lucìa Agosta, parte da uno spunto molto semplice: Sofìa e Tomás hanno improvvisamente rotto (non si sa bene per quale motivo) e tutti i loro conoscenti hanno una personalissima versione dell’accaduto.Le esilaranti interviste con amici, colleghi e la madre di Tomás si alternano a flashback di momenti felici della coppia, girati in stile amatoriale. Un divertissement  davvero contagioso, attraversato da una verve eccentrica e da un umorismo stralunato. Anche nel mediometraggio del tedesco Christoph Heimer, Pavels letzter schuss, si raccontano amori infranti, ma il tono è ben diverso rispetto alla pellicola argentina. Memore di un thriller francese di qualche anno fa (Pour elle, di Cavayé), Heimer racconta la folle impresa di Hanna, una donna che fa evadere di prigione il proprio fidanzato, salvo poi scoprire che questi non l’ama più. Un piacevole esercizio di stile (e di genere) dall’alto livello tecnico, a cui non mancano ritmo e senso dell’azione. La regista Anna Marziano, invece, con il suo De la mutabilité de toute chose et de la possibilité d’en changer certaines prende in esame i pensieri, le paure, le speranze, la voglia di ricominciare dei terremotati dell’Aquila subito dopo il tragico evento del 2009. Una prova cinematografica davvero convincente, che fa convergere le testimonianze dirette e i diversi punti di vista allo scopo di coglierne gli elementi comuni; un viaggio tra paesaggi di macerie e varie realtà individuali; una poesia dello sguardo che accoglie la lezione di Diritti e Frammartino; delle vedute estatiche che contemplano il mistero della natura, in tutta la sua bellezza e nella sua totale indifferenza per il destino umano. Molto accattivante anche la ricerca estetica di  Le jour où le fils de Rainer s’est noyé, del francese Aurélien Vernhes-Lermusiaux: storia di una piccola comunità di provincia alle prese col difficile compito di comunicare ad un padre la notizia del  ritrovamento del corpo di suo figlio, annegato in un fiume. Quasi assenti i dialoghi: sono i volti abbattuti dal dolore, la fotografia plumbea, i lunghi piani sequenza e le atmosfere rarefatte gli elementi di cui si serve il regista  per evocare lo smarrimento e l’impotenza dell’uomo dinanzi alla morte. Ad oggi, una delle opere più riuscite del concorso, insieme a quella di Anna Marziano.

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