venerdì, Novembre 22, 2024

Capri-Revolution di Mario Martone – #venezia75 – Concorso: recensione

La sensibilità autoriale di Mario Martone lo ha spinto  ancora una volta a raccontare un frangente storico attraverso le esperienze dei suoi personaggi. In questo caso però al centro dell’attenzione non è il fatto storico in sé (il Risorgimento nel caso de Il giovane favoloso e di Noi credevamo, lo scoppio della Prima guerra mondiale in quest’ultimo film), quanto il contesto culturale che si respira prima del conflitto. Capri-revolution è assieme un racconto privato e universale: si mette in mostra sia l’intenso desiderio di libertà della protagonista Lucia, guardiana di capre presso uno degli allevamenti dell’isola di Capri, sia le volontà di un Paese in cerca di un’occasione di svolta, che secondo i più sarebbe offerta dalla stessa guerra.

Ma il regista allestisce con Capri-Revolution un discorso attorno allo scontro tra ideologie, passando dall’illustrazione di un punto di vista all’altro: si oscilla tra scienza e spiritualismo, tra interventismo e isolamento meditativo, tra scelte che riguardano l’individuo e prese di posizione nazionali. Lo sguardo di Martone nel film mette specialmente a fuoco il punto di vista delle fasce sociali basse (Lucia è una donna del popolo), ma la visione è panoramica e include scuole di pensiero e sette di vario tipo, tutte ospitate nella spettacolare cornice insulare offerta da Capri. Lo spazio circoscritto dell’isola facilita naturalmente l’interazione delle parti e, di conseguenza, il conflitto tra fazioni diverse, ma soprattutto tra le varie forme di comune instauratesi sul territorio e la popolazione locale, tutt’altro che aperta a suggestioni esterne e alternative.

Lucia costituisce un’eccezione: la sua voglia di libertà, dalla gabbia di una famiglia dominata da due autoritari fratelli maschi, la porta ad accogliere con entusiasmo gli stimoli esterni che l’isola le offre. Martone segue per tutto il film la sua esplorazione delle stranezze di quelli che i popolani chiamano genericamente “artisti”, una comune di uomini e donne provenienti dal Nord Europa che hanno scelto di insediarsi sull’isola per meditare, produrre opere d’arte e mettere in pratica il proprio stile di vita. Questo comprende vegetarianismo, rituali di meditazione e libertà sessuale (molte scene li vedono completamente nudi nell’atto di ballare in mezzo alla natura), tutti elementi estranei alla cultura semplice di una ragazza come Lucia. L’avvicinamento della donna alla comunità di artisti la porterà a spezzare i rapporti con la famiglia e a trovare difficoltà nel rapporto con l’amico medico, un convinto interventista che guarda con scetticismo allo stile di vita di questi “alternativi” (il suo è uno dei punti di vista più importanti, quello dell’uomo di scienza).

Il leader di questa comune non è in realtà un personaggio creato da zero dal regista; pare infatti sia ispirato ad un pittore realmente esistito, il tedesco Karl Wilhelm Diefenbach, che dopo il fallimento della sua comune viennese si ritirò sull’isola di Capri. Diefenbach era un pacifista, vegetariano ed esponente del nudismo, tutti aspetti che ritroviamo anche nel film. Accanto alla sua controfigura in Capri-Revolution troviamo l’opposizione rappresentata da un altro fanatico, che predilige sacrifici di animali per rituali con sangue e finte crocifissioni; la sua è una setta di degenerati che rifiutano la via della purezza del leader pacifista per inseguire una vita corrotta (“la sola davvero possibile in un mondo come questo” dice uno di loro).

Nel complesso, il film ruota attorno a questi punti, esplorando le varie comunità e nel contempo prendendo in considerazione punti di vista più materiali, come quello del giovane dottore che afferma con orgoglio di essersi arruolato da volontario per l’imminente guerra, che crede essere la più immediata soluzione ai problemi del capitalismo. Capri-Revolution è dunque una storia di rivoluzioni mancate e di scontri ideologici, ma è anche il ritratto di una donna audace che ha scelto di opporsi all’influenza del regime patriarcale. Tutto ciò costituisce materiale certamente interessante (e le storie di emancipazione femminili sono più che mai coerenti nel contesto della Mostra del Cinema di Venezia, dove questo film è stato presentato), non fosse per la deludente resa cinematografica dei temi trattati. Troppo presente la colonna sonora, troppo innaturale la fotografia e ridicole alcune scelte visive (per quanto le location siano altamente suggestive) e soprattutto non buona la recitazione, che va poco oltre il proverbiale “livello televisivo”. Un film riuscito a metà dunque, quella delle intenzioni, ma la messa in scena di Martone sembra ancora troppo legata a schemi tradizionali così evidenti da rovinare l’esperienza cinematografica.

Le foto del film

Michele Bellantuono
Michele Bellantuono
Veronese classe '91, laureato in Filologia moderna e studioso di cinema autodidatta, svolge da alcuni anni attività di critica cinematografica per realtà online. Ha un occhio di riguardo per il cinema di genere e dell'estremo oriente

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