Il potere visivo di un cinema latino dalle straordinarie facoltà artistiche e sociali
Gli anni ’50 del secolo scorso, come noto, hanno conosciuto una divampante metamorfosi del cinema: allo stereotipo del divismo hollywoodiano si contrapposero correnti come il Neorealismo in Italia e la Nouvelle Vague francese, intente a creare e ridimensionare un ideale filmografico nazionale in netta rottura contro il predominio americano. In questo insorgere di modulistica variante libera, negli stessi anni vedeva la nascita in Brasile il ‘Cinema Novo‘, movimento cinematografico impregnato su una forte unione collettiva a sostegno della cultura sociale del Paese.
L’alba di un nuovo modo di pensare il cinema come emergenza intellettuale tesa alla divulgazione della realtà esperienziale e artistica è oggetto del documentario di Eryk Rocha, figlio del regista e padre fondatore del movimento Glauber Rocha.
Programmato con successo al Festival di Cannes, il lavoro di Rocha prende titolo dalla corrente stessa (Cinema Novo, appunto) presentando un progetto teso a raccontare la sua genesi attraverso l’esclusivo utilizzo di immagini di repertorio.
Un mash up tra interviste ai protagonisti del periodo e immagini simbolo dei film più importanti che crea un elaborato dal forte potere divulgativo privo di ogni intento didattico o solo lontanamente pedagogico.
Vero perno della pellicola è la presenza di un montaggio tra i più degni, marcatamente studiato al fine di rendere la visione il meno didascalica possibile e improntata ad un sano e ottimo lavoro di nostalgica rimembranza di uno dei marchi cinematografici che meglio di altri hanno saputo descrivere un periodo storico e la concretezza sociale e identitaria di una nazione. In questo, il Cinema Novo, ha saputo instaurarsi nelle coscienze solo grazie ad un riconoscimento che potremmo definire postumo: se infatti il movimento era indirizzato alla gente e intendeva abbattere l’egemonia americana, la popolazione stessa faticò a carpirne il valore. Non poca colpa si riconosce in un’attività distributiva tesa all’emarginazione, nella quale un’azione risolutiva trovò sempre diversi contrasti. Tanto che nel 1964, avvenuto il colpo di Stato, la corrente artistica finì con lo sgretolarsi mano a mano, vittima della censura e di una sempre più accentuata individualità dei protagonisti ormai lontani da quello spirito di associazione che li aveva caratterizzati.
Non solo Glauber Rocha ma diversi nomi segnarono il volto magnifico di un cinema da recuperare e ammirare: da Nelson Pereira do Santos a Leon Hirszman passando per Paulo César Saraceni, solo per citarne alcuni tra quelli inclusi nel documentario.
“Una macchina da presa in mano e un’idea in testa“, questo il senso più compiuto e profondo di un cinema glorioso e identificativo, dove l’arte si sviluppa nella coscienza di una viscerale umanità appartenente non solo al suo luogo d’origine ma al mondo stesso ed egregiamente riportato da Eryk Rocha.