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Come ammazzare il capo 2 di Sean Anders: la recensione

Per il sequel di “Come ammazzare il capo e vivere feliciSean Anders subentra a Seth Gordon dietro la macchina da presa, scrivendo la sceneggiatura insieme a John Morris, con il quale aveva già collaborato per “Sex Drive”, commedia che con questa condivide un certo spirito delirante, e per il notevole “Scemo & + scemo 2” dei Farrelly, dal quale desume una sincera vena slapstick.
Rispetto al precedente film, “Horrible Bosses 2” perde tutte le remore di un prodotto senza mordente, spinge sul cattivo gusto estremo, e guadagna in vitalità ed inventiva.

Kurt (Jason Sudeikis), Nick (Jason Bateman), e Dale (Charlie Day) brevettano il prototipo di un prodotto per il bagno; il docciamico è un dispositivo che consente di lavarsi, mentre il rubinetto principale eroga anche sapone, convinti dell’originalità dell’invenzione la propongono a Rex Hanson (Chris Pine), giovane imprenditore di una grande azienda condivisa con il padre Bert (Christoph Waltz). Quando Bert sottrarrà il progetto al trio, ribattezzandolo docciacompagno, questi penseranno bene di vendicarsi organizzando il rapimento del figlio per chiedere un riscatto; ma Chris stesso, contrariato per l’atteggiamento arrogante del padre, scenderà a patti con gli sgangherati rapitori, per partecipare alla spartizione del riscatto.

I “Bosses” del primo film, soggetti di una vendetta incrociata da parte dei tre lavoratori frustrati e insoddisfatti, sono in questo caso tutti i protagonisti del film, in un intreccio tra economia del lavoro e malavita sul quale Anders/Morris insistono a carte scoperte; Bert e Chris Pine sono in fondo dei gangster, il loro approccio all’impresa si basa sull’arrogante mancanza di ogni regola; “credete veramente che sia il duro lavoro che crea ricchezza?” dirà Bert ai tre dementi che rivendicano l’ostinazione ad impegnarsi per un progetto in cui credono, “Non è cosi!  l’unica cosa che crea ricchezza è la ricchezza; io ce l’ho, e voi non ce l’avete!”.

È su questo assunto che “Horrible Bosses 2” prende il via, mettendo in abisso le peggiori caratteristiche legate all’impresa con le migliori abitudini del crimine: brainstorming, recruiting, produzione e sopratutto successo, sono passati in rassegna con quel gusto per lo sberleffo che sostituisce tutti gli sforzi e gli ideali del self made man con lo spirito criminale alla base della morte di ogni regola. Non è un caso che il genio del crimine Motherfucker Jones (Jamie Foxx) faccia le veci di un vero e proprio consulente legale, mentre Kevin Spacey guiderà le operazioni della nuova impresa da dietro le sbarre.

A tenere incollato l’insieme non può essere che la furia distruttiva di un crescendo demenziale destinato a travolgere tutto, dalla famiglia, minacciata dalla dottoressa Julia Harris (Jennifer Aniston), l’odontoiatra ninfomane ossessionata dai membri che non può possedere, allo stesso sistema economico, ormai un gioco delle parti in mano al crimine, fino all’identità sessuale dei protagonisti, al centro di continui ribaltamenti di senso.

Oltre all’esasperazione screwball, al ritmo della messa in scena che se la gioca con quello della parola, Anders punta su alcuni momenti catastrofici girati con buona padronanza, come l’inseguimento tra la polizia e il trio guidato da Motherfucker Jones, realizzato pensando a French Connection e ai Blues Brothers o la continua defunzionalizzazione degli oggetti, tra cui la pompa che aziona il docciamico, parte di una gag che simula l’azione di un pompino; tutto il delirante susseguirsi di inceppi tra il diabolico Chris e il trio; ma sopratutto il cellulare di Dave, con la suoneria impostata su “Roar” di Katy Perry, vera e propria dichiarazione di stile: “quando sei in buona, è una buona canzone. Quando non lo sei, è pessima. Questa è arte!”

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