domenica, Dicembre 22, 2024

Controra – House of Shadows di Rossella De Venuto: la recensione

È un esordio brillante quello di Rossella De Venuto, ma soprattutto un coraggioso e doveroso ritorno ad un genere che in Italia rischiava di non trovare più seguito. Ma aldilà della forma in cui prende corpo il film, il principale merito della De Venuto è rintracciabile nell’accurata orchestrazione di ogni elemento compositivo dell’opera.

Controra è infatti un film che va oltre la semplice catalogazione di genere. Un horror non fine a se stesso, ma finalizzato a smuovere delle corde più vicine alla critica socioculturale che a quelle della pura e semplice emozionalità. Un effetto sortito da un’originale rivisitazione dei codici di genere. Ciò che infatti sortisce un impatto inquietante non è il buio, ma la calda e accecante luce del sud Italia. L’orrore sembra qui spogliarsi dall’abito gotico precostituito per approdare su quelle architetture mediterranee, quelle bianche superfici marmoree e quel cielo terso.

Il perfetto lavoro fotografico ad opera dell’irlandese Ciaran Tanham concorre a marcare questa nuova strada al genere. Ma è un estetica alla cui insegna confluiscono organicamente tutte le maestranze, dalle luci, ai costumi, alle location, tutto contribuisce armonicamente alla costruzione di una cromia e un’atmosfera chiara, fredda, immacolata. Ma è uno spazio dietro cui si annidano misteri, ombre così buie che solo una luce tanto intensa riesce a plasmare. Sono immagini che si riallacciano alla pittura metafisica di De Chirico, un’immobilità del tempo resa dagli ampi spazi senza vita, in una città fantasma nelle ore di inquietante calma, di tempo stagnante della controra. Così come nella luce diffusa, nitida, delle opere del pittore, si proiettano le ombre di statue, torri, immensi colonnati e isolate apparizioni umane, allo stesso modo la De Venuto ci immerge in un’asfissiante atmosfera, sfruttando queste immagini dal forte impatto come contesto dal valore metaforico. Un mondo che vive letteralmente ‘alla luce del sole’, ma che come controscena sviluppa ombre così forti da riuscire a celare crimini e omicidi.

«Son più gli enigmi nell’ombra di un uomo che cammina in pieno sole che in tutte le religioni del passato, del presente e del futuro» dirà De Chirico. E Controra è, non a caso, una denuncia alle ipocrisie della religione, al suo malsano influsso nella cultura di un popolo, reso schiavo, succube, da una falsa morale. La tacita omertà collettiva che come un morbo attecchisce dal microcosmo di un nucleo familiare fino ad espandersi al macrocosmo di un paese intero, che costruisce sul sangue e sul delitto la beatificazione di un monsignore. È questo l’orrore, l’inferno di luce, a cui farà fronte Megan (Fiona Glascott), un’estranea in un territorio straniante, che si ritroverà ad indagare sul terribile passato della famiglia del marito italiano. Il suo è uno sguardo distaccato, oggettivo, non corrotto da quella cultura depravata, l’unica in grado di percepire quelle ombre oltre la luce persistente e soffocante. “Non ricordare è come non aver mai vissuto” dice, prima di immergersi negli oscuri anfratti di una casa edificata su atroci delitti, fino a ridare vita, a rievocare, un passato che ancora grava sulle vite e sui luoghi.

Il morbido e latteo incarnato di Megan si inserisce armoniosamente negli spazi dalle superfici candide, entrandovi in simbiosi. È un alternarsi tra presente e passato il suo, fino ad essere fagocitata dalle ipocrisie di una religione e di una cultura, a diventare parte di un sistema che finirà col ripetere le stesse efferatezza come una radicata e inevitabile coazione.

Controra è una perla da non sottovalutare da questo punto di vista. Capace di sviluppare una forte e coraggiosa critica religiosa e sociale sfruttando dei codici estetici e narratologici di genere. Ma è anche un’opera che guarda al passato, con rimandi evidenti a Rosemary’s baby di Polanski (la gravidanza ad opera di forse ultraterrene), o a quel cinema italiano cult capace di sfornare eccelse pellicole sempre all’insegna della sperimentazione. Viene in mente la trama di La vergine di Norimberga di Antonio Margheriti, in cui, allo stesso modo, una moglie straniera si ritrova in un castello a fronteggiare oscure presenze che riemergono dal passato della famiglia del marito.

Un film che attinge dal passato e propone tutti gli elementi tipici del genere quindi, ma che riesce al contempo a svecchiarlo, dotandolo di una nuova e originale veste e di uno stile che nel panorama italiano attuale mancava e ci voleva.

Andrea Schiavone
Andrea Schiavone
Andrea Schiavone, appassionato di cinema ha deciso di intraprendere studi universitari in ambito cinematografico. Laureatosi in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza di Roma ed attualmente studente magistrale in Cinema, Televisione e New Media alla IULM di Milano.

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