domenica, Novembre 17, 2024

Cure a domicilio di Slávek Horák: la recensione in anteprima

Vlasta di professione fa l’infermiera a domicilio, nella piccola comunità della Moravia in cui vive. Un’attività non sempre facile, che tuttavia la donna sa svolgere con ammirevole costanza e pazienza; sin dalle prime immagini di questo Cure a domicilio, scritto e diretto dal regista ceco Slávek Horák, capiamo che il suo è un cuore davvero buono e che sarà proprio la bontà di questa donna la protagonista del film, definito dal suo autore una “fatica d’amore”.

Il film, dopo alcune sequenze che descrivono la routine quotidiana dei protagonisti – Vlasta e il marito Lada, ma anche il personaggio importante dell’amica Hanácková, pranoterapeuta – arriva presto ad un’improvvisa svolta drammatica che contrasta nettamente con il tono iniziale, stravolgendo per una sorta di amara ironia del destino la vita della protagonista. Vlasta subisce un incidente stradale, uscendone senza gravi conseguenze; se non fosse che, dagli accertamenti medici, le viene diagnosticato un cancro in stato avanzato. Da questo momento in poi sarà lei, la buona samaritana sempre pronta a prendersi cura di tutto il paese, a necessitare di attenzioni e cure speciali, alterando drasticamente il proprio stile di vita.

Si tratta di una sfida tutt’altro che semplice: Vlasta è una donna forte e autonoma, non abituata ad essere oggetto della preoccupazione altrui. La nuova condizione di malata non può dunque che mettere doppiamente in crisi la donna, da un lato in quanto patologia da subire direttamente sulla propria pelle, dall’altro in quanto il cancro la costringe ad essere oggetto quasi obbligato dell’affetto altrui.

Eppure il film, più che focalizzare l’attenzione sul drammatico sviluppo della grave malattia (direzione verso la quale procedono solitamente i film con protagonisti pazienti terminali), mette a nudo la crisi interiore di questa donna, procedendo con un tono non troppo amaro ed anzi spesso giocoso, in cui è proprio una velata ironia a consolidare l’intera sceneggiatura, che nella sostanza è veramente essenziale.

Gli scambi di battute sono più spesso scherzosi, che non pateticamente drammatici, come forse ci si aspetterebbe da un film con questo soggetto; un po’ come accade ad esempio in Un medico, un uomo di Randa Haines, film del 1991 in cui a scoprire di avere un tumore è uno stimato chirurgo, abituato a vedere malattie terribili ma non sulla propria pelle, vivendo una condizione non troppo diversa da quella dell’infermiera Vlasta.

Eppure in fondo all’umorismo (ad esempio evocato dalle costanti acide battute di Lada, il personaggio probabilmente più infastidito dall’altruismo della moglie) si riesce a percepire nello sguardo di Vlasta tutto il dolore della malattia, talvolta rappresentato in alcune scene particolarmente difficili da digerire, ad esempio quella in cui la donna soffoca i propri gemiti di sofferenza stringendosi il ventre, stesa sul terreno a pochi passi dall’ignaro marito.

Il serio cede quindi il passo al faceto e il regista sceglie di contrapporre alla serietà della patologia il mondo della medicina alternativa, prendendosi gioco della pranoterapia. Il film insiste molto su questo aspetto, una delle tante conseguenze della disperazione alle quali può portare una malattia incurabile: una inizialmente scettica Vlasta, attraverso la mediazione dell’amica Hanácková, entra così in contatto con la propria dimensione spirituale, scoprendo miracolosi gesti che curano l’anima, ma che in definitiva nulla possono contro il decadimento del corpo.

Con l’introduzione del personaggio della maestra pranoterapeuta e del suo circolo (culto) di pazienti (seguaci), il film fa breccia nel campo del grottesco e non ne esce con facilità, perdendo un po’ di quella carica emotiva che rimane sporadica, più che dominante.

Ma il film resta comunque legato ad un’idea di cinema come filtro di emozioni, un mezzo in grado di proiettare i sentimenti umani più naturali e assieme più complessi, come l’affetto.

Cure a domicilio è il racconto della tragica scoperta di una intima fragilità, insabbiata dall’orgoglio e da quel desiderio di “vivere per gli altri” che pulsa nel cuore di Vlasta e la porta a trascurare la propria salute. Horák mette insieme una storia adatta ad ogni pubblico, nella quale la morte è umanamente contrapposta all’ingenuità. Provare uno speciale affetto per la protagonista è dunque possibile, grazie ad una narrazione che bilancia con cura toni da commedia leggera e patemi da dramma familiare: senza rinunciare né alle lacrime né alle risate, Horák ne smorza l’effetto, inquadrando con una regia sobria il ritratto di una donna semplice alle prese con un male, per la prima volta, al di là della sua portata.

Michele Bellantuono
Michele Bellantuono
Veronese classe '91, laureato in Filologia moderna e studioso di cinema autodidatta, svolge da alcuni anni attività di critica cinematografica per realtà online. Ha un occhio di riguardo per il cinema di genere e dell'estremo oriente

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