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Dafne di Federico Bondi – Berlinale 69 – Panorama: recensione

A undici anni di distanza da “Mare Nero” (2008), pluripremiato esordio nella fiction cinematografica presentato a Locarno nel 2008, il regista Federico Bondi ritorna al cinema con “Dafne”, regalando al pubblico della Berlinale 2019 l’indimenticabile figura di una giovane trentacinquenne con la sindrome di Down, ritratta in un momento drammatico della sua esistenza: l’improvvisa morte dell’amata madre Maria e la conseguente crisi depressiva dell’anziano padre Luigi.

Il ruolo principale è interpretato da Carolina Raspanti, impegnata attivamente in progetti a favore di persone diversamente abili e autrice di due libri autobiografici: “Incontrarsi e conoscersi: ecco il mondo di Carolina” e “Questa è la mia vita”. A farle da padre è l’attore Antonio Piovanelli, noto ai più per la sua interpretazione di Gianfranco Miglio nella serie televisiva “1993”, e distintosi negli anni, oltre che per l’attività cinematografica, anche per il suo lavoro teatrale.

Quella raccontata dal film di Bondi è una di quelle storie semplici che potrebbero far parte della biografia familiare di tanti. Maria (Stefania Casini) e Luigi, un’anziana coppia toscana, trascorrono le vacanze in un campeggio vicino al mare insieme alla figlia Dafne, trentenne con la sindrome di Down. Il mattino del giorno di ritorno dalle ferie, giusto un attimo prima di partire, la madre si allontana brevemente per prendere alcune cose dimenticate. Passano i minuti, ma non ritorna; la figlia va a cercarla, per ritrovarla in fin di vita. La corsa in ospedale è purtroppo inutile, la donna muore lasciando Luigi e Dafne soli.

I funerali si svolgono nel luogo di origine di Maria, un’isolata zona rurale dell’appennino tosco-emiliano, dove la famiglia possiede un casolare.
Di nuovo in città, la vita deve ricominciare ma, al contrario di Dafne che torna alla sua quotidianità fatta di lavoro alla Coop, amicizie e di partecipazioni associazionistiche, Luigi non riesce a riprendersi dal lutto, lasciandosi andare a uno stato semi-depressivo. Inutilmente, la figlia cerca di aiutare il padre con la sua dirompente forza d’animo e una salutare dose di pragmatismo, né mancano momenti di incomprensione.

La svolta avviene allorquando Dafne propone a Luigi di recarsi in visita alla tomba della madre, andandoci a piedi. Il padre è inizialmente contrario, poi però si lascia convincere dalla figlia. Ha così inizio una sorta di pellegrinaggio attraverso l’appennino, che riavvicinerà Dafne e Luigi, aiutando quest’ultimo ad accettare la morte della compagna e a trovare la forza di andare avanti, anche per amore della figlia.

Il linguaggio visivo del film è chiaro, diretto e privo di enfatizzazioni o drammatizzazioni. Neanche la morte della madre viene mostrata. Il narrato si focalizza prevalentemente su Dafne, alimentandosi dei suoi dialoghi, dei suoi stati d’animo. La colonna sonora è priva di un accompagnamento musicale extradiegetico.
Per certi aspetti, Dafne è film in bilico tra documentario e fiction, come suggerisce lo stesso regista Federico Bondi, affermando che “La realtà è stata la mia fonte di inspirazione principale durante le fasi di stesura e ripresa del film. Non è stata Carolina a doversi adattare al film (lei non ha letto neanche una sola pagina della sceneggiatura), bensì è stato il film ad adattarsi a Carolina. Io potevo ‘tradire’ lo script originale, ma non la fiducia di Carolina, che esige precisione, rispetto e la capacità di saper ascoltare.”
Che le intenzioni del regista siano state comprese e apprezzate lo dimostrano il caloroso responso del pubblico e quello della critica, che ha premiato Dafne col FIPRESCI per la sezione Panorama 2019, per dirla con le parole della giuria, “Per il ritratto commovente e profondamente umano di una figlia coraggiosa e del suo amorevole padre mentre cercano di superare il dolore e per le indimenticabili prove attoriali di Carolina Raspanti e Antonio Piovanelli”
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