Matthew McConaughey, lo squalo dell’alta finanza di The Wolf Of Wall Street, con 25 kg in meno e la faccia del dead man walking diventa Ron Woodroof in Dallas Buyers Club, elettricista texano condannato a morte dal virus dell’HIV contratto in rapporti etero ad alto rischio, associati ad alcool e coca a manetta.
Storia vera nell’America opulenta e bigotta di Reagan, Ron (guai chiamarlo Ronnie, ti punta contro la pistola!), omofobo e sessista, uomo da rodei e scommesse clandestine, vive un’esperienza così inattesa da far quasi dimenticare quanto sia tragica.
Un etero alle prese con l’AIDS era infatti cosa al di fuori di ogni ragionevole credibilità, allora, l’ignoranza regnava sovrana e nessuno era disposto a credere che la peste del XX secolo non facesse sconti a nessuno.
Chi si ammalava aveva qualcosa da farsi perdonare di sicuro, e fu così che schiere di uomini e donne, per circa vent’anni, passarono in fretta a miglior vita, colpiti anche dal marchio, allora un po’ più infamante di oggi, di omosessualità. Non conta che Ron fosse un campione di machismo, nel giro di amici e conoscenti venne fatto fuori e isolato in men che non si dica. Ma questo fu il male minore.
Ron, se mai fosse possibile trattandosi di una condanna a morte, subì perfino un aggravio di pena dal sistema sanitario nazionale, che gli concedeva solo un mese di vita, visto lo stadio avanzato della malattia.
Lo salvarono solo l’energia residua che gli veniva dalla disperazione, la volontà da leone a farcela e la rabbia per quella fottutissima etichetta di omosex che si vedeva affibbiare e che lo faceva scazzottare per strada e altrove.
Accordi abominevoli con quelle multinazionali della salute che si chiamavano case farmaceutiche, uniti a collusione e conformismo nelle pratiche mediche, imponevano farmaci come l’AZT, letale nelle dosi usate e capace di portare l’immunodeficienza ai livelli massimi.
Terapie mediche ufficiali spacciate al tempo per dogmi inattaccabili non lasciavano al malcapitato che tacere e porgere il braccio all’endovena.
Jean-Marc Vallée, al secondo lungometraggiio dopo C.R.A.Z.Y., racconta una storia di rabbia e di lotta e lo fa calandosi in un girone d’Inferno senza speranza, dal quale Ron riemerge con occhi fuori dalle orbite, zigomi che gli bucano la pelle e sette anni di vita in regalo.
Si chiama medicina alternativa la sua pistola puntata al cuore del potere.
“Voi date zollette di zucchero a gente che muore?” aveva urlato mostrando il dito al medico dall’espressione partecipe che finisce ben presto al muro, afferrato per la collottola.
Varcato il confine con il Messico, Ron corre da Vass, un tipo dall’aspetto trasandato, messo al bando dall’ordine dei medici per uso illegale di sostanze alternative nella cura dell’AIDS.
Inizia così un contrabbando senza fini di lucro, Ron non sceglie certo quel momento per arricchirsi, ma senza troppe storie, e previo abbonamento per coprire le spese, distribuisce il prodotto a schiere sempre più numerose di malati terminali. Nasce il Dallas Buyers Club.
Tutti, a partire da lui, cominciano a star meglio, ed è la prova della portata omicida dell’AZT.
Naturalmente tutto l’apparato di potere gli sta addosso, fino al processo, ma Ron non molla, fa quel che fa per rabbia e poi per quel senso di solidarietà brusca, istintiva e senza smancerie che ancora in qualcuno resiste.
Nessuna sbavatura pietistica né buonistica nella scrittura del film, stacchi rapidi di scena raffreddano la temperatura quando tende a salire, il ritmo nevrotico dei momenti di maggior tensione si salda alla determinazione di Ron ad agire anche senza sapere quale ricompensa avranno i suoi sforzi, e nella corsa dell’animale braccato si aprono ampi spazi di silenzio rarefatto, il puro istinto di sopravvivenza costruisce architetture struggenti nel disegno di una vita al capolinea.
Collaborano all’impresa di Ron una dottoressa ancora fedele al giuramento di Ippocrate (Jennifer Garner un tantino sbiadita per il suo personaggio) e un transessuale (Jared Leto) in un ruolo, quello di Rayon, di delicatezza infinita, un trans finalmente senza mossucce e birignao, sensualità sublimata dall’angoscia e accettazione ironica del suo destino.
Gestita con misura e dosaggio di sofferenza e umorismo, fragilità e forza, McConaughey dà alla parte il tocco del grande performer. Il ricordo di Tom Hanks e quello di Sean Penn collocano Dallas Buyers Club in un giusto mezzo fra la dimensione dolorosamente individualistica e desolata di Philadelphia e la risolutezza dell’impegno politico di Milk.
“Sono Harvey Milk e voglio reclutarvi tutti” gridava Sean Penn nelle sue battaglie politiche.
“Sono Ron Woodroof e cercherò di salvarvi con me” potrebbe gridare oggi McConaughey.