Home alcinema Demolition – Amare e Vivere Di Jean-Marc Vallée: la recensione

Demolition – Amare e Vivere Di Jean-Marc Vallée: la recensione

La fotografia precisa e dai movimenti nervosi di Yves Bélanger filma il dialogo concitato tra Davis (Jake Gyllenhaal) e sua moglie Julia (Heather Lind); una distrazione e il veicolo entra in collisione con un altro. È l’inizio di una dolorosa elaborazione del lutto per l’investitore newyorchese, attento ad ogni dettaglio e apparentemente immune dalle conseguenze della perdita. Appena dopo il decesso della moglie in ospedale, proverà ad acquistare una confezione di smarties da un distributore automatico, ma la macchina non funziona e Davis decide di scrivere una lettera di reclamo al customer service della distribuzione.

Per qualche ragione tutto è diventato una metafora” scriverà in una delle ultime lettere confidenziali indirizzate a Karen Moreno (Naomi Watts), responsabile dell’ufficio reclami, un’indicazione di metodo che ci racconta spirito e punti deboli del cinema di Jean-Marc Vallée.
L’incidente, la macchina difettosa, quella per fare i cappuccini che viene recapitata in ritardo dopo la morte di Julia e in parallelo l’ossessione per lo smontaggio, i difetti dei dispositivi e la furia empatica nei confronti della demolizione.
Davis passa attraverso i prodotti della società di consumo e con il suo ossessivo autismo ne rivela il punto critico, il momento in cui si inceppano e manifestano una natura obsolescente.

Eppure è il cinema stesso di Vallée (da sempre) a soffrire tutti i problemi di un meccanismo ben oliato, funzionale e adesso più di prima, costruito seguendo i criteri ritmici del videoclip, innervando una presunta anima rock attraverso il personaggio di Chris, il figlio di Karen, interpretato da un notevole Judah Lewis, forse l’unica vera rivelazione del film.

Anche il corpo di Gyllenhaal cerca di seguire quell’andamento, per spezzare il meccanismo simmetrico del film, lasciandosi andare ad una danza selvaggia per le strade della città, oppure nel vero e proprio rituale di demolizione della casa, compiuto insieme a Chris.

Vallée si immagina allora di frantumare il racconto con furiosi jump cuts, salti e riavvolgimenti temporali, brevissime premonizioni, passaggi dallo stato di sogno al ricordo, ma non riesce a costruire un film sulla memoria né una semplice empatia con i suoi personaggi, imprigionati in queste ossessive schegge di cinema, ipercinetiche, sottoposte ai trucchi più fasulli del montaggio.

Oltre il montaggio, il film di Vallée non esiste, neanche come metafora della distruzione o della riconfigurazione della propria identità, perché al posto dell’attitudine “punk” c’è solamente la ricerca estetizzante nella giustapposizione tra immagini e l’immediatezza del gesto è sostituita dalla mediazione del ritmo.

E il dolore? È un’illusione.

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