È triplice lo sforzo compiuto da Diabolik sono io per dare credibilità e coerenza al difficile studio anatomico di uno dei personaggi più importanti della storia del fumetto italiano. Sono infatti tre le linee narrative utilizzate dal regista Giancarlo Soldi per tentare l’impresa di fotografare il personaggio di Diabolik e i suoi creatori. Tre le strade sviluppate in un continuo scavalcamento del rigore formale, secondo una tecnica di sovrapposizione dei piani di rappresentazione studiata per incrociare interviste inedite alle sorelle Giussani, pareri di esperti del fumetto (tra cui Gomboli, Lucarelli e Faraci) e tentativi di ricostruzione dell’identità di un uomo misterioso legato al numero uno del fumetto. Il tutto cercando di ottenere, all’interno di un cortocircuito composto a un tempo da narrativa di finzione e documentario, una sintesi di senso in grado di riflettere sul personaggio e di svelare l’identità del primo disegnatore del fumetto, con risultati alterni e in gran parte insoddisfacenti.
È infatti tanto interessante la storia dello sfuggente disegnatore che ha dato gli occhi a Diabolik e ne ha firmato per primo lo sguardo quanto inconcludente l’impianto funzionale immaginato dal film per riflettere sulla sua identità e su quella del re del terrore. Colpevole forse è l’ambizione di quest’ultima parte progettata come una piccola parentesi immaginativa: confrontarsi con il mito a fumetti attraverso la visione di qualcuno di completamente profano, sottolineando, attraverso un racconto sviluppato per schivare l’ampia riconoscibilità del personaggio e quindi l’impossibilità di dire qualcosa di inedito al riguardo, la straordinarietà della figura finzionale. Il risultato non è dei migliori, anzi, è invece la somma di una organizzazione narrativa confusa e inutilmente contorta, di una visione registica davvero poco ispirata e di prestazioni attoriali incapaci di scacciare i fantasmi del ridicolo involontario. La bontà dell’operazione emerge da un’altra porzione di testo del documentario.
Il materiale di repertorio sulle Giussani è la vera refurtiva strappata dal documentario alla cassaforte della storia, un momento cinematografico appassionante e insperato, un recupero archeologico capace di emozionare suggerendo una sensazione di atmosfera perduta, di ambiente irrecuperabile, di tempo passato e in qualche modo cristallizzatosi. I sorrisi delle due sorelle, i loro occhi luccicanti, le loro risposte argute, così lucide e sconvolgenti per la propria sincerità autoriale, così particolari nella visione del male e del crimine e del racconto di genere, così incomprensibili per l’interlocutore dell’epoca e così affascinanti per gli spettatori di oggi: è questa la materia audiovisiva che in qualche modo accessorio e precisissimo trasmette l’identità di un’ombra imprendibile, riflesso di un’epoca e di un sentore sociale. È dalle loro parole più che dalla ricostruzione narrativa del mistero legato al primus inventor degli occhi di Diabolik che emerge la forza dei racconti sul criminale dagli occhi di ghiaccio.