Las Vegas è lo specchio cangiante e vorticoso della storia vera raccontata, seguendo l’omonimo libro scritto da Scott Thurson, in “Dietro i candelabri” di Steven Soderbergh, distribuito in Europa dopo essere stato prodotto e trasmesso dal canale televisivo HBO, visto il rifiuto delle major hollywodiane nonostante la presenza di due nomi di punta come quelli di Michael Douglas e Matt Damon, pienamente coinvolti nel progetto del regista. Las Vegas, dunque, una città che non può essere descritta se non con la visione, perché quel favoloso eccesso di luci e sensazioni potrebbe sembrare posticcio e invece esiste davvero, così come esisteva Walter “Lee” Liberace, creatura artistica di quel mondo dagli abissi dorati dove il palco è l’unica verità. La storia dello show man viene ripercorsa partendo dalla fine degli anni Settanta quando incontra Scott, ragazzotto di provincia con un difficile passato familiare alle spalle, subito risucchiato nella fantastica rete di amore e ricchezza dalla grande star già all’apice della sua carriera. Soggiogato dal fascino di quel mondo apparentemente favoloso rispetto a quello da cui proviene, il giovane si consacra anima e corpo ai desideri del mitico Liberace che lo trasforma in assistente, figlio, autista, partner di scena, ma soprattutto amante.
Vuole essere tutto per Scott, renderlo felice ricoprendo ogni ruolo possibile e riempiendolo di regali senza però rivelare al suo pubblico la vera natura di quel rapporto, perché la società non è ancora pronta per un coming out, preferendo rifugiarsi nell’illusione spettacolare. Quando Liberace – perfettamente a suo agio in eccentrici e quasi fumettistici costumi sfavillanti di paillettes – entra in scena con il suo pianoforte sempre sovrastato da un candelabro – caratteristica da cui trae origine il titolo del film – esibendo un’immagine così vicina alla sua indole eccessiva e naif, i suoi fans scelgono di vedere solo ciò che vogliono vedere, incastonando nella finzione ogni possibile deriva morale. Ma basta chiudere il sipario, entrare nel camerino e poi nella villa stile impero dell’artista per dimenticare la luce di quelle candele e il suono del pianoforte, dittatura materna divenuta per innato talento una fortuna, accendendo i riflettori su amori turbolenti, crisi di gelosia, lusso sfrenato condito di narcisismo estremo.
Lee insegue il sogno dell’eterna giovinezza, lo fa da antesignano con il botulino e ancor di più alimentandosi dell’energia del suo adone Scott, immagine riflessa della potenza sessuale e del vigore ormai al tramonto, fino alla delirante richiesta di trasformare l’amato in un prolungamento di sé, di snaturarne i tratti fisici per annullare ogni residuo di identità pregressa. La perdita di controllo sul proprio io distruggerà il già fragile equilibrio di quel ragazzo pulito e un po’ ingenuo trasformato in sogno di plastica, in giocattolo da usare e buttare via quando non funziona più. Se “Dietro i candelabri” può essere guardato rimanendo abbagliati dai lustrini – rendendo peraltro merito al grandioso lavoro fatto con scenografia e costumi per ricostruire luoghi e abiti, ricercando esemplari realmente appartenuti a Liberace nel segno dell’ostentazione più sfrenata – lo si può anche apprezzare immergendosi con l’amaro in bocca nel buio esistenziale in cui sprofonda il personaggio di Scott nella seconda parte del film, sostenuta dall’ottima interpretazione di Matt Damon, capace di passare all’interno dello stesso ruolo attraverso una mutevolezza psico-fisica freneticamente in corsa verso la deriva. Decisamente più calibrati i tempi attoriali del Liberace di Michael Douglas, costantemente diviso nella perfetta maschera bifronte dell’esuberante mattatore ricoperto di oro, costretto a nascondere dietro una strabordante bellezza la vecchiaia e la morte, incapace di evadere dalla prigione della gloria, da quella gabbia dorata dove puoi comprare tutto eccetto la libertà.