Takashi Yamazaki, abile orchestratore di effetti digitali e di manipolazione CGI, autore, tra le altre cose, della recente versione live action di Space Battleship Yamato si fa affiancare da un animatore di videogame come Ryuichi Yagi per la realizzazione di Doraemon, potenziando l’estetica volumetrica e tridimensionale in modo da cancellare l’essenzialità artigianale della serie televisiva di maggior successo, quella prodotta nel 1979 da TV Asahi e Shin-Ei Animation.
Al contrario, sul piano narrativo, Yamazaki e Yagi recuperano temi e situazioni conosciute, prelevando le intuizioni e il solito surrealismo giocoso del manga di Fujiko F. Fujio e degli episodi originali. Doraemon balza fuori da un cassetto della scrivania di Nobita direttamente dal futuro, accompagnato da un suo pro-pro-pronipote; lo scopo è quello di avvicinare il bambino alla realizzazione più felice del suo destino, facendo in modo che il futuro matrimonio con l’amata Shizuka possa aver luogo senza intoppi. Doraemon, gatto robot dalle incredibili risorse dovrà aiutarlo a portare a termine il compito, proprio per questo gli verrà impedito di trasferirsi nuovamente nel futuro fino a quando la missione non sarà compiuta.
Gli strumenti del noto gatto robot sono i soliti, oggetti miracolosi provenienti dal secolo successivo chiamati “chusky”, adatti a risolvere ogni situazione e che Doraemon tira fuori dal “gattopone”, una vera e propria tasca-marsupio.
La pigrizia e la vigliaccheria di Nobita, quasi sempre oggetto di scherno da parte dei coetanei e incapace di comunicare adeguatamente con Shizuka, richiedono quasi sempre l’intervento di Doraemon, ma allo stesso tempo il compito più profondo del gatto-robot sembra quello di sviluppare quel senso di autostima che manca al ragazzo e che rappresenta un po’ il cuore dell’operazione di Yamazaki / Ryuchi, più orientati ad un racconto di formazione per la pre-adolescenza che non a sbizzarrirsi con le invenzioni deliranti che animavano la vecchia serie televisiva; del resto, la tradizione dei lungometraggi dedicati a Doraemon ha almeno trent’anni e lungo il percorso ha decisamente perso mordente con una deriva che sembrava irrecuperabile, almeno dal 2007 con i film diretti da Yukiyo Teramoto legati alla formula dell’adventure-team, incluso il più recente realizzato nel 2013.
In questo senso quindi, Yamazaki / Yagi con il 36mo film della serie, il primo ad essere realizzato in CG, si ricollegano idealmente alla follia della serie televisiva in forma quasi “digest”, ne recuperano gli aspetti più creativi e infilano una serie di trovate formidabili, come l’incredibile finale ultra-strappa-lacrime che gioca proprio su quello stereotipo, rovesciandolo letteralmente e inventandosi un multiverso dove tutto è possibile.
Rimangono alcuni dubbi sulla resa tecnica dell’animazione, tesa a trovare una definizione sin troppo perfetta e artificiale che perde in forza espressiva senza raggiungere il livello di ricchezza e di sfumature delle produzioni Pixar e rinunciando a quella sintesi minimale che dava incredibile vita ai disegni bidimensionali della serie televisiva.