Negli ultimi anni ha composto musiche per tantissimi film, ognuna assai diversa dall’altra – l’ultima per Happy Family di Salvatores – ed è stato vincitore del Nastro d’argento nel 2005 e candidato al David Di Donatello nel 2006.
Lo abbiamo intervistato per Due vite per caso, opera prima del regista Alessandro Aronadio, distribuito dalla Lucky Red, già in concorso alla sezione Panorama del Festival di Berlino 2010 e in uscita nelle sale italiane dal 7 maggio.
Protagonista del film è Matteo, un ragazzo 24enne che vive una stagione di scelte cruciali: il mondo cerca di fargli credere che tutto per lui sia possibile, mentre il destino, o la società, o il caso appunto, finiscono per decidere inesorabilmente al posto suo. Della colonna sonora originale è uscito un doppio album, edito da Warner Chappell. Frutto di un anno di lavoro infaticabile e di un approccio teorico innovativo, la poliedricità dell’album emerge a cominciare dall’elenco degli strumenti musicali impiegati, alcuni dai nomi esotici, altri dagli echi arcaici o postmoderni, di cui il più conosciuto è il sitar, il più banale è il salterium, passando per l’arpa celtica, il flicorno, l’ewi, il theremin, il dobro…
Cominciamo con una domanda classica…Cosa ti ha spinto a comporre la colonna sonora di Due vite per caso?
Fin dalla sceneggiatura, l’ho trovato un progetto di grande spessore cinematografico e narrativo, oltre che sociologico e politico.
Conoscevi il regista Alessandro Aronadio già prima di lavorare alla sua opera prima?
Conoscevo Alessandro da tempo, prima dal punto di vista umano e poi professionale. Mi aveva molto colpito un suo cortometraggio che ha fatto il giro del mondo, Glorybox, a cui sono molto affezionato, pur non avendoci lavorato. Già quel lavoro denunciava una ricerca formale rara in un’epoca di grande banalità, cosa che, con le dovute differenze, ritrovo in Due vite per caso. Rimango sempre affascinato dalla ricerca.
Sì, è un personaggio che parla poco, che osserva, si guarda intorno e cerca di guardare dentro sé stesso. Matteo sintetizza un momento che tutti noi prima o poi abbiamo passato, che è quello della riflessione. La sua riflessione si scontra poi con le barriere che il sistema gli oppone: culturali, di casta, di pregiudizio, delle quali ogni giorno abbiamo prova in modo più o meno grave.
È uno stadio che appartiene a tutti i giovani del mondo. Non è un caso che Alessandro mi raccontava che a Buenos Aires (dove Due vite per caso è stato in concorso al Festival BAFICI, n.d.a.) i ragazzi argentini hanno detto che il film sembrava girato lì…
Per tornare al mondo sonoro di Matteo, il metodo del musicista non è razionale, ragiona d’intuito, con l’emisfero destro del cervello, quello emozionale. Ho quindi cercato di intuire il suo stato d’animo, che poi è anche il mio, partendo dal presupposto che non è un film solo su Matteo, ma su una generazione. Egli è un punto di una costellazione, un paradigma.
Insomma, è facile poter riconoscere la tua totale adesione ai contenuti del film. Sembra quasi che Due vite per caso ti abbia offerto l’opportunità di dare libero sfogo ai tuoi pensieri, ai tuoi valori…
È vero. Alessandro ha creato un progetto in cui tutti noi tecnici, che abbiamo lavorato al film, ci siamo rispecchiati, ci siamo sentiti coinvolti e spinti a dare il massimo. E posso dire che questo umore, l’energia positiva, l’armonia, si respiravano in tutti i reparti durante la lavorazione, dagli attori agli scenografi al direttore della fotografia. Sentirsi parte di un movimento, parte di una coscienza collettiva che non vuole tacere… questo è stato il piccolo miracolo del film.
In un momento in cui il denaro guida e controlla tutto, in cui la poca profondità ci circonda, creare una forza di pensiero è stato importante. Certo un film non può cambiare la società, ma può creare spunti di riflessione, un’occasione di analisi, per fare il punto sulla situazione. C’è gente stufa di essere trattata come dei mentecatti dalla tv. Senza voler essere drastici, la libertà è in serio pericolo e il film lo dice a caratteri cubitali, se lo si legge in un certo modo…
Cosa ti aveva chiesto il regista dal punto di vista tecnico della soundtrack?
Abbiamo operato una ricerca su sonorità che rimandano più al mondo del rumore che del suono. Quindi abbiamo cercato di fondere il rumore al sound design, facendolo diventare poesia, creando qualcosa, che stimolasse chi guarda il film ad un coinvolgimento psicologico adeguato. Poi, come in una certa cinematografia anglosassone, abbiamo fuso questa tecnica alla vera e propria musica, per creare emozionalità mentre l’occhio di chi guarda è agganciato alla ragione. Sound design e musica sono diventati un tutt’uno.
La musica poi è stata usata anche in senso spaziale: con le tecniche di spazializzazione, attraverso i diffusori surround, gli spettatori saranno invasi dal suono a tutto tondo. Sembrano tecniche modernissime, ma in realtà nelle cattedrali medievali, e ancor più nel Rinascimento, si disponevano le masse strumentali davanti e dietro, proprio per circondare il pubblico…
Ci ho sempre creduto, ma devi trovare un regista che abbia un linguaggio che te lo consente. Alessandro ne ha uno molto contemporaneo. Con lui ci siamo chiesti cosa significa far musica oggi. E ci siamo risposti che il nodo della questione è la Sintesi. Chiunque oggi si interessi di comunicazione, non ne può prescindere. In questa colonna sonora c’è il rock, l’orchestra, il mondo notturno degli strumenti a fiato, l’elettronica…
C’è qualcuno in particolare a cui ti ispiri?
Amo moltissimo l’architettura (su una sedia dello studio dove facciamo l’intervista, c’è un libro sull’architetto L. Kahn, che Louis si affretta a citare). Qualcuno ha detto “i buoni edifici lasciano meravigliose rovine” e io proprio dalle rovine costruisco le mie impalcature. Dai Led Zeppelin, da Bowie, Miles Davis, Bach – e l’elenco sarebbe lunghissimo – io affondo le mie radici, da cui poi, con umiltà, costruisco. Lo stesso accade quando Alessandro nel film cita Truffaut… non si ricorre a citazioni per essere i primi della classe, ma solo interiorizzando il passato si può costruire il futuro.
Raccontaci un po’ del tuo processo creativo, di come sono nati i brani per Due vite per caso…
Tutto è partito dal microsuono, dall’atomo sonoro. Ho mescolato come un chimico i suoni, i rumori, i singoli elementi. Durante la pre-produzione del film, ho preparato la mia tavolozza di colori… Verdi avrebbe detto che ho trovato la mia “tinta sonora”.
Poi un semplice gesto musicale, un dito che rimbalza su un tasto, come una pallina che viene gettata a terra, ha fatto il resto. A questa unica nota ripetuta si sono aggiunti i particolari, i dettagli, come piccole cellule che si sommano. In questo senso la mia musica diventa quantistica. Tutto l’album, sfrondato di tutto, si potrebbe ridurre a quella semplice nota.
Successivamente, mentre assemblavo i microsuoni, i brani strumentali sono nati sulle immagini. Il racconto visivo del film mi ha molto stimolato: la serra (dove lavora il protagonista n.d.a.), i fiori, i silenzi di Matteo, i suoi sguardi persi, resi in modo formidabile dalla recitazione di Lorenzo Balducci.
C’è una scena del film a cui sei più legato?
Adoro un passaggio tra varie scene: Matteo inizia a lavorare alla casa di campagna del padre, poi è concentrato nel suo lavoro solitario della serra, mentre la sua inquietudine cresce fino al discorso che pronuncia Ivan sull’importanza della rabbia. È un climax musicale, che esplode con il sassofono acido che connota il personaggio di Ivan, ispirato al free jazz che negli anni Sessanta aveva forti connotazioni politiche di contestazione. Lì il matrimonio tra la musica e le immagini è perfetto.
Il tuo album è ricco di special guests, musicisti e cantanti d’eccezione…
Mi diverto a condividere il mio viaggio con amici, che danno vita a quello che nasce sulla carta apportando i loro personalissimi approcci. Pericle Odierna, grandissimo strumentista, ogni volta mi chiede “Che follia mi farai fare ‘sta volta?”.
Sono fortunato ed onorato di aver creato intorno a me una famiglia di musicisti, che collaborano con me da anni. Questo invitare altre persone a far suonare i propri pezzi deriva dall’approccio del blues e del jazz. È un sistema che permette un continuo dare e ricevere.
Ne approfitto per ringraziare tutti coloro che hanno collaborato a questa colonna sonora, ognuno con la sua unicità, tutti motivati allo stesso modo.
Quanto è durata la tua lavorazione a questa colonna sonora?
Se consideriamo da quando ho letto la primissima versione della sceneggiatura, dai primi confronti con il regista … sono passati circa quattro anni, durante i quali non ho smesso di pensarci! La stesura vera e propria della colonna sonora è durata un anno. Ne sono venuti fuori 104 minuti di musica per una pellicola che ne dura 88 ed in cui, come è naturale, la musica non pervade tutto il film! Ogni granello di energia che ho avuto l’ho dedicato a questo progetto, ho dormito tre ore a notte, ma sono contento ed onorato di averlo fatto.
Il doppio album della colonna sonora racchiude un cd di soundtrack ed un cd di canzoni, che quasi mai compaiono nel film. Come mai questa scelta?
Le canzoni del secondo cd sono nate come extra, dagli “scarti” della soundtrack. Io detesto la forma canzone, come la si concepisce oggi: si urla al miracolo per cose che già sono state fatte decine di anni fa da giganti della musica. Tuttavia riconosco che la gente ama questa forma…e io amo la gente! Quindi ho deciso di comporne anch’io, ma divertendomi a dissacrarne la forma stessa. Ho creato così canzoni antiradiofoniche, antimarketing, lunghe 6 minuti, senza ritornelli… Love stays love comincia ripetendo una melodia che canticchiava mio figlio di un anno! È una forma di protesta contro la banalità, di provocazione nei confronti di un’industria musicale che non osa più.
Beh, in realtà l’album è pubblicato dalla Warner… etichetta di tutto rispetto!
Infatti riconosco che la Warner mi ha dato un grande appoggio, assecondando l’uscita di un album così coraggioso. In particolare voglio ringraziare Giovanni Marolla, persona illuminata, che ha riconosciuto la qualità del progetto.
Non credo che riuscirò a realizzare un altro progetto simile, ma continuo ad avere fede nella qualità, non mi piace la musica “usa e getta”, così come i film legati alla tendenza del momento. Non voglio essere immodesto, ma non è un caso che il Festival di Berlino abbia selezionato Due vite per caso.
E a proposito di un’esperienza importante come quella del Festival di Berlino, cosa puoi dirci?
È una vittoria che uno dei più grandi festival di cinema mondiali abbia selezionato il film, così come è stato una vittoria che in tutte e cinque le proiezioni abbiamo registrato il sold out, che il suo pubblico abbia dimostrato un’accoglienza così calda, vivace e partecipata, che i critici internazionali abbiano apprezzato molto il film, che in Argentina i giovani vi si siano riconosciuti … Cosa chiedere di più?
E adesso, per concludere l’intervista, hai spazio per libero sfogo…
Vorrei svegliarmi una mattina e apprendere che tutti hanno deciso di spegnere la televisione. Non se ne può più di progetti televisivi pessimi, poveri di idee, con scarse professionalità, e dai costi elevatissimi che tolgono soldi al buon cinema, ai giovani registi, alle opere prime e seconde di qualità.
In Italia negli anni Sessanta si facevano 300 film all’anno, ora solo una sessantina, ed il numero diminuirà sempre più con i continui tagli ai finanziamenti. Non si investe nella cultura, perché è più comodo tenere il popolo addormentato.
Spero che un film come Due vite per caso porti avanti la forza della cultura, quella viva, ad ampio raggio, mai presuntuosa, che stimoli il pensiero critico, che scateni la voglia di scardinare la gabbia, che sia una riposta a chi ci vuole tenere nel buio.
http://www.luckyred.it/duevitepercaso/
http://www.warnerchappell.it/filmtv.jsp?currenttab=soundtrack#top