venerdì, Novembre 22, 2024

El ciudadano ilustre di Gastón Duprat, Mariano Cohn – Venezia 73 – Concorso: la recensione

The past is a foreign country: they do things differently there” .

Riavvolgere il nastro della propria vita è operazione quanto mai rischiosa, il passato è sempre una terra straniera e ben lo sa Mr. Daniel Mantovani (Oscar Martinez), il protagonista di El ciudadano ilustre, scrittore di successo che torna dopo quarant’anni al suo paesello e mal gliene incoglie.
Il tempo scava infatti trincee profonde, e se la prima fuga è stato un giovanile atto di coraggio, il ritorno può essere il crollo di quel castello di ricordi che alla distanza si sono colorati di sogno e nostalgia.
Ma El ciudadano ilustre non vuol essere un crepuscolare “amarcord” né un bonjour tristesse lungo viali coperti di feuilles mortes.
Eroe positivamente teso in una solida e consapevole affermazione del proprio posto nel mondo, Daniel Mantovani è un orizzonte aperto che nulla vale a restringere, né il successo, a cui sembra autenticamente indifferente (ne è prova la sua seduta all’Accademia Svedese che l’ha appena insignito del Nobel e, schierata in pompa magna dai reali in giù, è comicamente esterrefatta di fronte al suo discorso di “ringraziamento”), né l’amara e definitiva constatazione dell’asfissia morale e culturale di quel piccolo mondo da cui scappò lontano quarant’anni prima.
C’è, sotto la trama leggera del racconto che si snoda ricco di inventiva, colpi di scena, trovate spesso surreali e non di rado esilaranti, un senso che gli interstizi tra le parole fanno balenare e il finale a sorpresa mette a nudo con forza. Si tratta di una riflessione politica importante, che investe parole grosse come libertà, impegno individuale, responsabilità umana all’interno della storia.
Il mondo di Daniel Mantovani è il risultato di un cammino denso di vissuto. Nei suoi libri ha sempre e solo parlato di Salas, quel suo paesino a 300 km da Buenos Aires dove il tempo sembra essersi fermato e la vita scorre apparentemente tranquilla con i ritmi di sempre.
I personaggi dei suoi racconti ora riemergono al vivo, ma senza il filtro dell’arte che trasfigura e sublima appaiono nella nuda immediatezza del reale, la loro carica simbolica si è annullata e sono tornati ad essere stupide, a volte feroci marionette in cerca d’autore.
Purtroppo però nella vita reale non si volta pagina né tanto meno si chiude il libro. L’uomo in carne e ossa vive, opera e sorprende. Mantovani, tornato per uno strano, inspiegabile impulso a riconsiderare le sue radici, viene spiazzato dall’imprevedibile modificabilità della vita, le sorprese, non proprio gradevoli, non sono poche e quel passato è una terra straniera dove rischia grosso, come un migrante senza le carte in regola.
C’è, sotteso al racconto che si snoda leggero, sfumando gradualmente dal comico al grottesco fino ad assumere venature thriller nel finale, un discorso sull’arte che circolarmente apre e chiude la storia.
Mantovani, lo capiamo dalla prima scena a Stoccolma, rifiuta la parte dell’intellettuale éngagé, l’arte per lui è sovversione o non è, e il Nobel è l’abbraccio mortale, definitivo, del potere, l’inizio della fine per un artista. Sempre capace di scandalizzare, mai supinamente prona al potere o asservita ad un’ etichetta, l’arte non chiede corone nè prebende.
La vita inventa intrecci, climax, peripezie e catastrofi, l’arte se ne appropria. Non appartiene che a sé stessa e pertanto non accetta nulla di quel gran Circo Barnum che l’umanità le costruisce sempre intorno, dagli apparati più sofisticati e costosi alle comiche sagre di paese, dove “il cittadino illustre” è portato in giro sul carro dei vigili del fuoco come la madonna pellegrina.
Cerimonie ufficiali, targhe e onorificenze, presidenza di giurie in improbabili concorsi in cui si premiano orrende croste chiamate quadri, tutto quello che Daniel Mantovani ha evitato come la peste, sempre, ora lo ritrova intatto a Salas, solo a livelli decisamente più picareschi. Lontano dai red carpet e dalle Accademie che contano si accorge che tutto il mondo è paese.
Ma il suo ritorno sarà comunque fertile perchè l’arte trionfa e scombina le carte che l’uomo accuratamente dispone. Il ritorno a Salas sarà l’oggetto del suo prossimo libro.
E dunque, quello che abbiamo visto è accaduto realmente o Daniel Mantovani era solo il personaggio di un romanzo che raccontava il suo ritorno? Romanzo nel romanzo o storia vera romanzata? Chissà come stanno veramente le cose fuori della caverna? Non lo sapremo mai, ma continuiamo a fidarci delle ombre che l’arte stampa sul muro, sono l’unica realtà possibile, ed è onesta per statuto.

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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