lunedì, Novembre 18, 2024

En liberté! di Pierre Salvadori: la recensione

Con la deriva giustizialista che sta attraversando il nostro paese e buona parte dell’Europa, la nuova commedia dell’ottimo Pierre Salvadori dovrebbe esser proposta per una programmazione nelle scuole dell’obbligo. Dopo il bel “Piccole crepe, grossi guai“, in parte influenzato dalla debordante presenza di Gustave Kervern, il regista francese non abbandona la riflessione sui margini della società introdotta nel suo precedente lavoro, abbinandola alla personale rilettura della commedia romantica che sin da Les Apprentis mappa le disillusioni e i moti del cuore, qui allineati al ritmo di una furiosa sarabanda screwball. 

Yvonne (Adèle Haenel) è una detective della polizia di stato attiva sulla riviera francese. Celebra la scomparsa di Santi, collega e marito scomparso (Vincent Elbaz), amato da tutta la comunità e considerato un vero e proprio eroe capace di arrestare l’ascesa del crimine locale. 
Quando le celebrazioni arriveranno all’apice, con la costruzione di un monumento in memoria, una retata dove si svolgono incontri sessuali BDSM clandestini ribalterà la percezione di Yvonne. Sarà una delle persone trattenute in questura, tra collari, morsi in pelle e prostitute assortite, ad associare il cognome di Yvonne a quello del defunto marito, per definirlo come uno degli individui più attivi nel crimine locale.
L’immagine dell’eroe viene macchiata e la rete di corruzione che controllava, rivela improvvisamente la doppia vita di un uomo che per anni ha mostrato un volto irreprensibile a moglie e figlio; ed è proprio con questo che Yovonne cerca di mantenere un rapporto protettivo, così da sopperire all’improvvisa mancanza della figura paterna con la costante costruzione di un mito che il bambino le richiede. Mentre il suo cuore grida vendetta, le favole notturne vengono sostituite dalla mitizzazione delle gesta di Santi, che Salvadori riproduce nella forma del sogno ripetuto con alcune varianti, lungo tutto il film.

Se ne ricava un ritratto famigliare incrinato sin dall’inizio, con un’ereditarietà che poggia le sue basi sulla menzogna.
Ma non è solo questo il centro del nuovo film del regista francese, perché il tentativo di riparare ed espiare le colpe di Santi da parte di Yvonne si fissa su un uomo condannato ingiustamente ad otto anni di carcere per le colpe del marito. 
Salvadori costruisce il meccanismo della commedia sui classici motivi dello scarto e del rovesciamento di senso, trovando nuova linfa nella dimensione nient’affatto divertente dello squilibrio sociale. Antoine, intepretato da uno straordinario Pio Marmaï torna dalla moglie (Audrey Tautou) prima del tempo previsto e sarà proprio questa a chiedergli di “ripetere la scena” del rientro, per cercare di catturare l’istante, come se tra l’essere e il non essere, la vita risiedesse in quel piccolo momento di attesa. Sulla gag folgorante Salvadori innesta un senso di perdita e di amarezza che attraversa tutto il suo nuovo film. 

Senza più un’identità, Antoine cercherà infatti di assumerne una nuova per dare il senso a otto anni di vita buttati al vento; l’unico modo è quello di sposare il crimine da libero, dopo esser stato innocente in carcere.
Su questo semplice quanto geniale ribaltamento, una volta dismessi i vestiti dell’imperatore dalla mitologia coniugale, Yvonne cerca di arginare la nuova furia di Antoine, frapponendosi tra le  potenziali azioni criminogene dell’uomo e il suo ruolo come tutore della legge. 
Yvonne, come il marito e per espiarne le colpe, si trova improvvisamente dalla parte del crimine proprio dal momento in cui il carcere, capace di produrre solo nuove forme di emergenza, non consente vie alternative a quelle ciecamente punitive.

Materia incandescente che reiventa e stressa al limite gli elementi rom-com, ribaltandone costantemente i presupposti. Non è un caso che Salvadori introduca il doppio “buono” di Santi, interpretato da Damien Bonnard. Louis è un collega di Yvonne e il suo tentativo di riempire il vuoto sofferto dalla giovane vedova rappresenta la linea normativa della commedia romantica che in ogni caso Salvadori mette in crisi evidenziando il lato meschino di ciascun personaggio, mentre la passione pulsante che corre tra la donna e Antoine, manda in cortocircuito qualsiasi dimensione normativa, quasi per suggerirci che il desiderio può correre solo sui binari dell’emergenza. 

Nell’intreccio di situazioni già denso, propellente per una serie di gag riuscitissime, Salvadori inserisce numerosi elementi al vetriolo, tra cui la figura ricorrente di un serial killer che cerca ripetutamente di farsi arrestare portando in questura alcuni sacchetti, presumibilmente pieni dei resti delle vittime fatte a pezzi. Un derelitto che non trova requie né l’ascolto che cerca, in un contesto sociale dove i meccanismi che regolano la legge sono completamente fottuti. 

Senza alimentare un meccanismo fine a se stesso, Salvadori compie un’operazione “interna” al cinema francese stesso, servendosi dell’immagine della Haenel e minandone quella sensibile delicatezza valorizzata da autori come Campillo, i Dardenne e nell’ambito della commedia dal più tradizionale Chris Kraus.

Se l’analisi sociale è qualcosa di più di uno sfondo, come nel precedente film del regista francese, Salvadori non perde mai di vista la volontà di aderire ad un sentimento di verità. Basta pensare alla chiave di lettura BDSM, momento di un doppio, triplo svelamento, non solo a fini narrativi, ma anche in quelli che sono i desideri e le pulsioni di Yvonne. La rapina in latex, oltre all’occasione per costruire un’ennesima e detonante gag, rappresenta l’ingresso nell’intimità di una donna con mezzi diversi da quelli a cui siamo abituati ad affidare credibilità.

Salvadori si conferma regista assolutamente geniale nel gestire differenti registri all’interno della cornice della commedia, ne è fulgida dimostrazione l’immagine conclusiva, con la mano di Santi tesa verso il figlio mentre spicca il volo dalla finestra in uno degli innumerevoli sogni ad occhi aperti del bambino. Immagine tenera e allo stesso tempo beffarda, non concede spazio ad una dimensione consolatoria, ma si apre comunque al diritto di crearsi la propria mitologia, in accordo con i propri desideri, rompendo l’incanto retorico di qualsiasi racconto di formazione. 

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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