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Escape From New York di John Carpenter: colonna sonora originale

John Carpenter compositore; uno speciale - Escape From New York, la recensione

Indie-eye presenta uno speciale dedicato a John Carpenter compositore. L’approfondimento è costituito dall’analisi di tre tra le colonne sonore più influenti del maestro di Carthage; in sequenza è possibile leggere articoli su The Fog; Escape From New York; In The mouth of madness, ovviamente esaminati da una prospettiva musicale. Introduce lo speciale questa breve intervista a John Carpenter

Escape from new york è il vampiro ontologico nell’arte del John Carpenter compositore; suono che diventa mitologico sin dalla sua proposta nelle sale. Carpenter e Alan Howarth costruiscono una struttura orchestrale impiegando numerosi Synth a partire da quelli della serie ARP, il Prophet 5, sequencer e vocoder della Roland e una drum machine.

Lo schema gli serve anche per superare i limiti del tempo, un synth come ARP Quadra per esempio, non è un dispositivo completamente polifonico, più adatto per le performance dal vivo ha ovvi limiti di programmazione; nonostante questo Carpenter si ingegna per potenziare in modo esplicito la profondità della percezione spaziale del suono.

Si parlava appunto di mitologia, e il film esce nelle sale con un accattivante sistema quadrifonico spinto al massimo, effetto palpabile e fantasmatico allo stesso tempo, completamente perduto nell’esaltazione dei volumi che sperimentiamo nei multiplex contemporanei. Carpenter forza la tecnologia del tempo e crea un’ambientazione virtuale a partire dai suoni; come The Fog, Escape From New York è un film sostanzialmente sonico ma con uno spettro percettivo che viene scaraventato fuori dal frame.

Nella breve intervista che Carpenter ha rilasciato per indie-eye si cita Forbidden Planet come radice mitica di un suono; al di là dei primati la colonna sonora di Louis and Bebe Barron (1956) è un esempio radicale di scomparsa dell’orchestra tradizionale nello scoring di un film, l’inzio di un percorso che sostituisce il realismo con un’iper-realismo sonoro estremo e che potremmo far passare attraverso le esperienze elettriche di Morricone, nella sua reinvenzione dei suoni della memoria western, fino all’audiovisione estrema e distorta dei Goblin di Suspiria.

Escape from New York si serve di queste intuizioni e materializza la tensione di uno spazio metropolitano verticale attraverso drones e una bizzarra forma orchestrale sostanzialmente costituita da sezioni monofoniche. Da Forbidden Planet a Carpenter il salto è quello di una sintesi tra archeologia sonora e tecnologia; l’idea di rendere attiva la percezione di tutta la colonna sonora (compresa quella diegetica) in una simulazione virtuale dello spazio di fruizione che giochi con lo spettatore senza barare; il trucco c’è ma non è importante, ciò che conta è la relativizzazione estrema della fonte sonora, individuare un centro percettivo illusorio come distruzione di tutte le certezze, è un preludio a quell’ansia minacciosa e colpita dall’indeterminatezza che attraversa buona parte dell’elettronica contemporanea di consumo, attenta al margine e all’interferenza piuttosto che a qualsiasi idea di sviluppo.

Il minimalismo di John Carpenter in Escape From New York ha una forza compositiva per certi versi ancora classico contemporaneistica anche se è assolutamente oltre le reinvenzioni della tradizione operate da Wendy Carlos, deformazioni pop dell’immaginario classico la cui riconoscibilità è ovviamente l’elemento cardine.

Engulfed Cathedral, la versione di un classico di Claude Debussy presente nella colonna sonora di Escape From New York, viene rivista attraverso la scomposizione di timbri e suoni ed è al contrario difficilmente riconoscibile. Su questa texture complessa, viene innestato l’immaginario pulp di un groove potentissimo che anticipa, ispira, apre le porte a tutto un ventennio di elettronica. Si è parlato altrove del recente omaggio a John Carpenter compositore che i Portishead hanno inserito in buona parte del suono del loro ultimo Third, ed è solo una delle tante forme esogene che si sono sviluppate intorno ai suoni e alle intuizioni del maestro di Carthage. Gli ascolti di Carpenter, invece, sono diretti altrove.

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Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.
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