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FantasyFilmFest – Una de zombis di Miguel A. Lamata (Espana, Wild Bunch, 2003)

Una storia di zombi. Un po’ vero un po’ no. Dopo i fasti di Mucha sangre (morti viventi alieni e sodomiti!), ecco un ulteriore titolo che pare incoraggiare la definizione di un nuovo genere: l’horror grottesco iberico. Di fatto, nihil sub sole novi. La radice è sempre Alex De La Iglesia: la sua narrazione piatta nella sostanza e sovraeccitata nella forma; la sua grana grossa; l’approccio zuzzurellone (siamo franchi: anale) a certi, ehm, topoi della serie B quali i morti viventi e il satanismo. Acción Mutante e El dia de la bestiadocent.

Miguel A. Lamata prende appunti e consegna un bel compitino, non privo tuttavia di egregie trovate. Prima di tutto il film è una storia di zombi così come Epidemic (Lars Trier, 1987; il von è un’invenzione) è la storia di un’epidemia: ne parla tanto ma non la mostra. O perlomeno non la mostra secondo la fenomenologia a cui siamo abituati. Niente morsi, niente contagio, niente centri commerciali o allarmi sul pianeta terra moribondo. La storia da un lato ha una torsione metanarrativa dannatamente arzigogolata, dall’altro bara e diventa un action movie urbano. A sorpresa, ci si diverte lo stesso. Una de zombis è rimastica tutti gli stereotipi iberici in fatto di caratteri e di struttura della commedia. Se la commedia all’italiana aveva i suoi mostri, in questo film troviamo tutti i nuovi mostri ricorrenti (ritornanti…) del cinema spagnolo popolare, dal ragazzo grassoccio allo strafigo coi dread, passando per la strafiga scazzottante fino al finto prete violento, in realtà una sorta di Rael satanista, perennemente allegro e in scarpe da tennis, interpretato da una colonna come Santiago Segura. Gli zombi ci sono, ma trattasi semplicemente di morti ammazzati che ritornano, senza trucco, senza andatura incerta o corse a gambe levate o voglia di azzannare. Solo, non muoiono. Diventano gangster ligi alla mala e ubbidienti a Satana. E hanno pure un discreto senso dell’umorismo. Vitalistico, tutto ciò. Nevvero? Il protagonista è un laido conduttore radiofonico trombato, appassionato di death metal: capelli lunghi (con cui si spazza il vomito), modi caproni, ignorante come un ciocco. Vedasi l’ultimo De La Iglesia, Crimen Ferpecto, per farsi un’idea del Carattere Iberico per antonomasia. O almeno, quello che emerge nei film di genere. Il film, si è detto, è metacinema puro e complesso, solo senza la voglia di prendersi sul serio. La trama parte lineare poi si sfrangia, ma nonostante questo non perde colpi, non smarrisce il ritmo, non cede a vezzo alcuno. Momenti da urlo: in pieno brainstorming per la stesura di uno script, il ragazzo ha l’idea de I figli di Hitler vs i Rabbini Mutanti (il pubblico di Colonia si scompiscia per sessanta secondi); a colloquio con produttore – vero! Che sia chiama Mariano Anos – il protagonista sostiene che il titolo del film è Mi manca il sapore acre del tuo Ano e accusa il produttore di non avere mai assaporato ciò; in un’altra occasione, basta un gatto di razza che sniffa una riga di coca e schizza fuori dalla finestra per garantire risate grasse che colano. Il piccolo miracolo di Una de zombis è di essere al contempo terra terra e contorto senza mai rinunciare a un intrattenimento orgogliosamente demente. Non mancano citazioni accessibilissime e devastanti, ad esempio una replica della Regan vomitante verde dell’Esorcista. Non manca una madre con la mannaia, una gruppo di cattivi che pare uscito da Cecil B. Demented di John Waters, non manca una coreografia di lettini d’ospedale con tanto di flebo a latere da cui si alza un piccolo esercito di zombi improvvisati. Ciliegina: quando sui titoli di coda parte una canzone un po’ salsa un po’ hip hop intitolata Zombi bailando, l’augurio sorge spontaneo: diamine, iddio li benedica tutti.


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