Blockbuster stile sudcoreano in piena regola per la seconda uscita in sala del giovane Jang Hun che dopo la gavetta con Kim Ki-duk e l’esordio con Rough Cut recensito da questa parte su Indie-eye Straneillusioni, sbanca i botteghini in patria con 5milioni di biglietti venduti. Spy story da guerra fredda sul 38° parallelo. Prologo importante al cardiopalma per introdurre la vicenda che si svolgerà 6 anni piu tardi. Protagonisti un agente segreto del sud (l’ormai onnipresente Song Kang-ho) e una spia ripudiata del nord (un giovane, ma bravo Gang Dong-won) che dopo l’intento iniziale di controllarsi a vicenda stringeranno il classico sodalizio virile tipico di questo genere. Sembra di vedere un film di spie americano interpretato da coreani, ma alla lunga la solida e soprattutto controllata regia dà risalto alle varie componenti narrative sempre al momento giusto: tensione alternata con picchi alti e bassi scanditi da intermezzi ironici, con l’inserimento di temi portanti cari al pubblico coreano (vedi l’importanza dell’unità della famiglia, l’espansione “buona” del capitalismo). Jang ha inoltre il merito di girare grandi scene d’azione, ma soprattutto inseguimenti ricchi di pathos, eppure sobri. Approfondisce le psicologie dei personaggi in maniera intelligente e mai banale, rifuggendo gli stereotipi più facili e rendendo alla perfezione l’idea, soprattutto nel personaggio di Ji-Won, di carattere forte e deciso, ma completamente solo e dilaniato da continue riflessioni di carattere etico. Happy end necessario per l’audience, ma assolutamente superfluo per la riuscita del film.