lunedì, Novembre 25, 2024

Giraffada di Rani Massalha: la recensione

Yacine è un veterinario palestinese che vive con suo figlio Ziad, questo, nello zoo in cui lavora, instaura un solido rapporto affettivo con una coppia di giraffe. Ma durante un bombardamento il maschio della coppia muore, lasciando alla compagna, in stato di gravidanza, e a Ziad un vuoto incolmabile. Per rimediare allo stato depressivo del figlio e fornire un compagno alla giraffa ancora in vita, Yacine, con l’aiuto Laura, una giornalista francese molto legata alla famiglia, decide di procurarsi un nuovo esemplare maschio, ma l’unico modo per ottenerlo è sottrarlo allo zoo israeliano; e quindi infrangere le barriere, uscire dalla gabbia, per sancire una nuova unione.

Il rapporto tra padre e figlio funge così da motore narrativo e fulcro emozionale, trovando nelle figure delle giraffe una proiezione speculare. Il vivere in gabbia come condizione di vita dei due popoli, chiusi analogamente in un recinto, ostacolati da un confine, sia fisico che ideologico. Ma è anche il riflesso del piccolo nucleo familiare, in cui l’assenza della figura materna grava fortemente. Un piccolo nucleo ancora incorrotto, che rischia però di essere travolto dal vortice di distruzione che plagia anche l’anima, i sentimenti. Un rischio che minaccia il disilluso Ziad, che nel suo primo incontro con la morte subisce il definitivo distacco dall’età infantile, dalla spensieratezza e dal sogno, per essere catapultato crudelmente in una terribile realtà. Una disillusione a cui il padre sentirà il dovere di rimediare, perché fedele all’idea che l’unico modo per sopravvivere alle brutture della vita sia credere ancora nella forza dell’amore.

La missione padre-figlio per riformare una famiglia di giraffe sotto il segno dell’armonia, si inquadra quindi come ottimistica speranza, come consapevolezza della possibilità di valicare quelle barriere discriminatorie. Ma se la nuova unione animale sembra riflettere quella che progressivamente si sta instaurando tra Yacine e Laura, ciò sembra rimanere in una dimensione utopistica. Questa unione e questa risoluzione al conflitto sembra ancora impossibile, almeno fin quando l’uomo non riuscirà a liberarsi da quelle insensate regole sociali; fin quando, in definitiva, non  ritornerà al suo stadio essenziale, animale.

L’unione tra i due animali, seppur provenienti da due territori diversi, sembra ricordarci quindi che nonostante le gabbie in cui si è costretti, apparteniamo tutti alla stessa razza.

Una film dal forte spessore poetico, che si sublima ulteriormente nella lirica immagine della giraffa libera sullo sfondo di un paese dilaniato dalla ferocia umana. L’efficace incarnazione di una sensibilità che ritorna a diffondere il suo messaggio tra le macerie della guerra. Un animale gagliardo e fragile al contempo la giraffa, proprio come Ziad, sensibile ma sempre, dannatamente risoluto.

Andrea Schiavone
Andrea Schiavone
Andrea Schiavone, appassionato di cinema ha deciso di intraprendere studi universitari in ambito cinematografico. Laureatosi in Arti e Scienze dello Spettacolo alla Sapienza di Roma ed attualmente studente magistrale in Cinema, Televisione e New Media alla IULM di Milano.

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