Se non si colloca God’s not dead nel contesto della Pure Flix Entertainment, la casa di produzione di Scottsdale, Arizona, specializzata in produzioni di evangelizzazione cristiana, si rischia di sopravvalutare gli imbarazzanti esiti del film di Harold Cronk. Ci si chiede casomai come il regista di Reed City abbia potuto esordire a teatro con “I monologhi della Vagina” per poi tuffarsi corpo e spirito in molti dei film della suddetta. Titoli come Jerusalem Countdown, The Book of Esther, Do You Believe? sono solo alcuni dei film prodotti dalla Pure Flix dal 2007 ad oggi e God’s Not Dead, insospettabile successo al botteghino con più di otto milioni di dollari incassati solo nella prima settimana di programmazione, si avvia già al secondo capitolo previsto entro il 2016 e con Cronk saldo al timone.
Parte di un processo di evangelizzazione che ha radici ben precise negli Stati Uniti, il progetto God’s Not Dead è ispirato al libro di Rice Brooks intitolato “God’s Not Dead: Evidence for God in an Age of Uncertainty” e ad alcuni eventi occorsi nei campus americani dove gli studenti che professavano la loro fede sarebbero stati ostacolati da professori intolleranti.
Al di là delle origini, sembra abbastanza improbabile che un professore universitario si comporti in modo palesemente coercitivo come quello interpretato da Kevin Sorbo, ateo così convinto da costringere gli studenti della sua classe di filosofia a firmare un foglio di ammissione al corso dove si dichiara a chiare lettere la morte di Dio. Uno scherzo surreale anche per lo spettatore che senza troppe mediazioni viene catapultato improvvisamente in una disputa tra uno studente cristiano (Shane Harper) intenzionato a portare argomenti filosofici a favore delle tesi creazioniste e il docente titolare del corso, convinto che il giovane credente crollerà molto presto sotto il peso della logica.
Dal processo a Dio, Cronk dipana una serie di tracce secondo i principi del peggior cinema corale (si, Babel in confronto è quasi un esempio di sobrietà) delineando storie parallele di conversione, dalla ragazza musulmana che incontra Cristo e viene malamente cacciata di casa dal padre, al cinese ateo folgorato sulla via di Damasco fino alla blogger cinica che ammalata terminale di cancro incontra Dio durante l’intervista ai Newsboys, pop band cristiana arrivata in città per un grande concerto dove tutti i personaggi del film si troveranno in massa a scattar foto con il cellulare e a diffondere il verbo con una ridda di sms il cui contenuto è: God’s Not Dead.
Persino l’acido professore di filosofia, mollato dalla fidanzata cristiana e sulla strada per riconquistarla, viene malamente investito da una macchina, per ricevere al momento giusto una fortuita confessione in punto di morte.
È talmente basico e ferocemente concentrico il film di Cronk da non rappresentare una vera e propria operazione di propaganda, quanto un movimento di auto affermazione della propria identità, la descrizione di un’utopia cristiana che come tutte le utopie, è un territorio chiuso e impenetrabile dall’esterno, un mondo fatto di auto-suggestione dove non c’è spazio per l’alterità.
Non aiuta la confezione iper-televisiva e super-digitale del film, ovviamente privo di qualsiasi intenzione di immaginarsi corpi, linguaggio e movimento, per affidarsi, non a caso, totalmente alla parola.