“God’s own country” è il nome dato tradizionalmente alla contea dello Yorkshire (Inghilterra), dai suoi abitanti. Qui, nella regione del Dales, in un’area tra le meno popolose e, al contempo, più verdeggianti dell’Inghilterra vive il giovane agricoltore Johnny Saxby (Josh O’Connor), insieme al padre Martin (Ian Hart) e alla nonna Deidre (Gemma Jones).
Johnny aiuta il padre parzialmente infermo nel lavoro dei campi e nella cura del bestiame, trascorrendo il raro tempo libero nel piccolo pub del paese, ubriacandosi e avendo sesso occasionale con ragazzi del luogo. Il rapporto con il padre è difficile e perennemente minato dallo stress causato dai duri ritmi di lavoro imposti da un’agricoltura praticata in maniera arcaica e patriarcale.
Martin impone i suoi dettami e il suo stile di vita non lasciando spazio al giovane e criticando continuamente il suo operato.
È primavera quando Martin decide di assumere un bracciante che aiuti il figlio col bestiame e la manutenzione delle stalle. Gheorghe Ionescu (Alec Secareanu), immigrato rumeno coetaneo di Johnny, si unisce così alla piccola famiglia, vivendo in una roulotte parcheggiata nel cortile della fattoria.
Inizialmente il rapporto tra Gheorghe e Johnny non è dei più semplici e non mancano momenti di scontro diretto. La situazione prende però una svolta allorché i due giovani trascorrono diverse settimane insieme, da soli, in un pascolo isolato posto in un’area montuosa.
È un luogo in cui il lavoro della Natura e quello dell’Uomo paiono integrarsi in un’unione senza tempo e lì, sullo sfondo di un paesaggio aspro e arcaico, fatto di valli verdi che si aprono a perdita d’occhio ritmate da colline e alture rocciose, col passare dei giorni la tensione tra i due giovani si trasforma in attrazione fisica e poi in amore.
Johnny è confuso e in un primo momento non sa come reagire a questo nuovo sentimento, che lo porterà a rivedere il proprio stile di vita, a dichiarare alla famiglia la propria omosessualità e a farsi carico di responsabilità troppo a lungo lasciate da parte.
Anche se sono innegabili alcuni punti di contatto, sarebbe quasi gratuito e sbrigativo definire il primo lungometraggio del regista Francis Lee come una sorta “Brokeback Mountain” all’inglese.
Il film parla una linguaggio cinematografico completamente diverso e usando a mo’ di pretesto la storia d’amore tra i due giovani, indaga con sguardo partecipe e un interesse a tratti quasi documentaristico, la società rurale inglese ritratta in un importante momento di svolta. Un momento in cui l’immigrazione – sembra dirci il regista – può giocare un ruolo essenziale, costituendo una possibilità di arricchimento culturale e ringiovanimento demografico