lunedì, Dicembre 23, 2024

Grifi e la filmografia impossibile # 2

(..continua # 2) Un’arte che si ribella alla società non può assumerne il linguaggio, cambiando solo i contenuti, deve inventarne uno nuovo.

Magari dalle ceneri del vecchio. E’ quello che faranno Baruchello e Grifi nel 1964, montando quasi per scherzo 150 000 metri di pellicola di scarto, provenienti da 47 film americani in cinemascope di quegli anni, ‘aquistati come rifiuti destinati al macero’. “Intuivo che quelle immagini rubate potessero rappresentare il linguaggio disobbediente, quello che l’industria della celluloide odia perché rappresenta solo la forza lavoro. E che quello fosse il linguaggio vivo del cinema.” ((Al tempo delle avanguardie, Goffredo Fofi incontra Alberto Grifi, su Lo straniero, n. 78-79, dicembre 2006.))

La pratica è quella del ready made dadaista, tanto che gli spezzoni, all’inizio, vengono selezionati mediante l’uso della tabella dei random numbers-numeri casuali, ma il risultato ha una sua logica precisa, che è quella appunto della disscrazione dei canoni del cinema classico hollywoodiano, attraverso la loro utilizzazione reiterata ed impropria. Attori americani famosissimi come Clark Gable o Bette Davis, James Stewart o Tyron Power si ritrovani complici, loro malgrado, della loro stessa derisione. I loro gesti diventano assurdi perchè, accostati, rivelano di essere sempre uguali a sè stessi. I due autori realizzano chiaramente (anche se l’avvicinamento di Grifi alle opere di Debord e gli altri è da situarsi alla fine del decennio), quello che, secondo il vocabolario situazionista si definisce détournement: “Integrazione di produzioni attuali o passate delle arti in una costruzione superiore dell’ambiente.(…)Il détournement all’interno delle antiche sfere culturali è un metodo di propaganda, che testimonia l’usura e la perdita d’importanza di tali sfere.” ((Internationale situationiste, n.1, Parigi, giugno 1958.))
Mostrare porte che si aprono su porte che ancora si aprono, o già chiuse, mentre nessuno esce, decine di baci che ripetono la stessa gestualità trita ed esasperata, ricostruire, assemblando pezzi di film ambientati in periodi storici o luoghi geografici diversissimi, un solo film in cui, ad un certo punto, il fantomatico soldato semplice Eddie Spanier vede la propria omosessualità palesata senza vergogna dal compagno, produce la rottura di aspettative che sedimentano da anni l’immaginario dello spettatore medio, che per la prima volta vede smascherati quei meccanismi talmente oliati, da rappresentare perfettamente sè stessi come gli unici possibili, ma che da quel momento in poi, una volta che la rottura c’è stata, non saranno più gli stessi. Come ha giustamente affermato Umberto Eco: “Noi non rimanevamo affatto scioccati dal fatto che il personaggio uscisse quattro volte,anzi alla seconda volta cominciavamo a desiderare che il gioco si ripetesse per la terza.(…)godendolo in base ad un sistema di aspettative e valutazioni estetiche già totalmente diverso.” ((Umberto Eco, in Verifica incerta e Gruppo 63, intervento all’incontro del Gruppo ’63 a Palermo, in Il romanzo sperimentale, a cura di Nanni Balestrini, Feltrinelli, Milano 1966.))
Il film viene proiettato per la prima volta a Parigi nel maggio 1965, presentato da Marchel Duchamp (le sue immagini, riprese nello studio di Baruchello erano state il punto di partenza del film, e ne inframezzano la visione, sancendo ufficilmente lo spirito dada come l’ispiratore dell’opera) alla presenza di personaggi del calibro di Man Ray, Max Ernst, John Cage. Il sottotitolo Disperse Exclamatory Phase si riferiva al fatto che l’happening, così lo definiva Baruchello, doveva terminare con la distribuzione del film stesso, a pezzi, al pubblico in sala, cosa che non venne fatta visto il clamore con cui fu accolto.
Il paradosso delle avanguardie storiche si stava ripetendo, a distanza di anni: colui che si ribella, che rompe col passato, precipita l’opera d’arte nelle strade, tra la gente, è incorporato dalla stessa società che contesta, accettato come ‘artista’ uccellino che si tiene in mostra, ingabbiato, però. Verifica Incerta da allora ha fatto il giro del mondo, Cage l’ha mostrata al Moma di New York e da allora qusi tutte le maggiori cineteche internazionali ne hanno una copia: è diventato un oggetto di contemplazione, eletto sistema e codice del così detto cinema sperimentale, un’ etichetta, appunto. Ma su questo lo stesso Grifi rifletterà più avanti: nel frattempo continua la sua ricerca, all’interno del fecondo ambiente artistico romano, di un linguaggio che riesca, più di quello tradizionale, a raccontare le esperienze di quegli anni, come l’uso di sostanze psicotrope. “Sentivo che (…) tutto questo lavoro di fare cinema, aveva limiti grammaticali e contenuti narrativi miserabili di fronte agli universi meravigliosi che gli hippies in stato alterato della coscienza avevano visto,di fronte al racconto iscritto nelle nostre cellule,a questa sceneggiatura vivente che realizza i nostri corpi.”
La sua lotta è, quindi, prima di tutto contro il mezzo e i suoi limiti fisici, lo scopo è alterare l’occhio della macchina da presa opponendogli lenti , specchi, prismi, sovrapponendo diverse piste sonore, fondando una grammatica della visione interiorizzata molto simile a quella che stava sperimentando il cinema underground americano e Mekas, che propagandava su Film culture un cinema dall’occhio espanso.Dalle parole di Mekas: “ Il nuovo artista, prestando orecchio alla voce interiore, comincia a percepire frammenti di un’autentica visione dell’uomo.” ((Jonas Mekas, Notes on the New American Cinema, pubblicato in Film Culture, n. 25, estate 1962, riportato e tradotto in Adriano Aprà a cura di, New American Cinema, il cinema indipendente americano degli anni ’60, Ubulibri, Milano, 1986, cit. p. 35.))
Transfert per camera verso virulentia relizzato da Grifi nel 1966-67 intorno alla rappresentazione teatrale Virulentia di Aldo Braibanti, con, tra gli altri, Massimo Sarchielli e Patrizia Vicinelli, sua compagna in quegli anni, è un esempio di questa volontà di espandere la visione: in questo caso rappresentare cinematograficamente tramite la stimolazione del testo di Braibanti e le distorsioini operate sull’immagine e sul suono quello che, riprendendo il concetto di ontofilogenesi di Ferenczi, Grifi definisce: “il passato filogenetico dei corpi, l’inconscio biologico della visione.”
Sulla stessa linea d’onda Orgonauti evviva!, girato nel 1968, prima che il discorso venga perentoriamente interrotto: poco dopo Alberto Grifi è arrestato e condannato a due anni di reclusione nel carcere di Regina Coeli, per detenzione di pochi grammi di hascisc che non verranno mai trovati. (#2 continua..)

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