venerdì, Novembre 22, 2024

Ho ucciso napoleone di Giorgia Farina: la recensione

Giorgia Farina, dopo Amiche da Morire, torna a costruire una drammaturgia tutta al femminile, partendo da un’idea di fondo molto simile. Ho ucciso Napoleone mette ancora in scena il desiderio, l’identità e il rapporto di coppia, con l’intenzione di esasperare gli stereotipi di genere, per poi massacrarli. Lo sfondo è quello di una commedia nera, ma rispetto al film precedente, l’ambientazione nel mondo del marketing farmaceutico consente alla giovane regista Romana di lavorare sulle geometrie del set, costruendo uno scenario tutto metallo e vetro, tra porte che si chiudono come fendenti, skyline claustrofobiche e gli ingranaggi di una macchina ad orologeria, quella del lavoro come metro di valutazione dei rapporti.

In questo senso, il personaggio di Anita ha i tratti di una mistress algida e imperturbabile, il cui immaginario fetish, tra tacchi chirurgici, risoluti giochi erotici e una politica aziendale spietata, entra in corto circuito con l’anarchia interpretativa di Micaela Ramazzotti, la cui libertà assomiglia a quella di un cartoon, basta pensare alle smorfie, la rabbia, le improvvise esplosioni e allo stesso tempo la tenerezza che è capace di esprimere quando il mondo le crolla addosso.

Ed è un dato evidente, se si pensa all’attenzione che la Farina dimostra nei confronti delle outsider con cui Anita metterà in piedi una squadra sgangherata secondo quel codice di sorellanza che muoveva le protagoniste di Amiche da Morire.
La Farina, che è abilissima nell’orchestrare contrasti servendosi degli elementi materiali del set, esaspera la superficie disponendo attentamente i corpi nello spazio scenico e seguendo un andamento ritmico serratissimo tutto tagli, cesure, stacchi netti, angolature sghembe. Alla definizione del ritmo segue una deformazione fumettistica dei personaggi e sopratutto l’utilizzo esasperato dei colori, la cui funzione sembra esplicitamente simbolica, ma anche beffarda, come la vernice sanguigna che cola su Anita e che la trasforma in un’immagine della vendetta ma allo stesso tempo nella parodia di quella stessa ferocia.

Se il cinema di Giorgia Farina è allora molto distante da quello italiano ripiegato su modelli consunti, l’attenzione alla costruzione del set come un dispositivo meccanico ben oliato per funzionare purtroppo si porta dietro tutti i difetti di quell’immaginario pop che non riesce ad andare oltre l’esibizione dell’ingranaggio, e se non fosse per il sorriso della Ramazzotti, capace di sparigliare le carte, oltre questa esibizione cromatica, ci sarebbe ben poco da vedere.

 

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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