venerdì, Novembre 22, 2024

Hotel Transylvania 2 di Genndy Tartakovsky: la recensione

Come  il primo episodio di Hotel Transylvania anche questo è scritto da Adam Sandler insieme al geniale Robert Smigel e diretto da Genndy Tartakovsky. La formula è simile e sposta il contrasto razziale tra mostri e umani all’interno della dinamica famigliare. Johnny sposa Mavis, la figlia del Conte Drac e dall’unione nasce Dennis, sulla cui origine, umana o mostruosa, si concentrano le ossessioni del nonno, il primo ad aver favorito un approccio inclusivo all’interno della comunità dei mostri ma allo stesso tempo non ancora pronto ad accettare che il suo unico nipote possa rimanere immune a qualsiasi tendenza vampiresca. Il forsennato gioco tribale del primo episodio si trasforma in una commedia più strutturata e vicina al modo in cui lo stesso Sandler ha affrontato con alcune delle sue sceneggiature i rapporti tra genitori e figli tra generazioni successive.

Tutto il discorso sulla diversità viene quindi adattato ad una formula del tutto abusata e rispetto alla quale il film di Tartakovsky non aggiunge molto in termini narrativi se non per la prospettiva fantasiosa che sostituisce una realtà multiculturale con lupi mannari, vampiri e mummie.

Cambiano anche le prospettive legate all’universo animato, nel primo film legate a tutto l’immaginario cinematografico horror, da quello classico fino ai film di Romero, re-inventato e citato come principale carburante per animare l’esplosione delle gag. In questo caso Sandler e Smigel preferiscono adattare la commedia ai tic e alle ossessioni della società contemporanea, incluse quelle tecnologiche. Ma il centro rimane comunque quello di una commedia sulla famiglia, la cui influenza agisce negativamente sulle capacità inventive di Tartakovsky, tranne nei momenti più astratti e legati all’animazione pura, dove si riconosce la sua forza creativa, come per esempio in tutte le gag che coinvolgono il blob gelatinoso oppure in alcuni frammenti dove il tratto stilizzato e astratto dall’autore di Samurai Jack riduce la perfezione volumetrica della computer grafica; tra tutti un momento esilarante dove durante una sessione di pittura astratta che ricorda lo stile di picasso, il soggetto si muove per rivelarsi astratto quanto il dipinto in corso.

Ma si tratta appunto di alcuni frammenti, decisamente meno accentuati rispetto al capitolo precedente, dove l’equilibrio tra racconto di formazione per ragazzi e invenzione risultava decisamente più riuscito.

In attesa di un ritorno in grande stile per Tartakovsky, che abbandonato il lavoro su Popeye, potrebbe manifestarsi di nuovo nel progetto condiviso con Robert Smigel e  intitolato “Can you imagine?” viaggio astratto nell’immaginazione di un ragazzo che sulla carta e dai primi disegni diffusi, promette benissimo.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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