domenica, Dicembre 22, 2024

I due volti di gennaio di Hossein Amini: la recensione

I due volti di gennaio, adattamento del romanzo omonimo di Patricia Highsmith (The Two Faces of January, 1964) segna il passaggio alla macchina da presa del talentuoso sceneggiatore iraniano Hossein Amini (suoi i copioni di Jude 1996, e Drive 2011). Il risultato è un giallo sofisticato e retrò, dove la tensione è una forza endocrina che nasce dal rapporto – tormentato e perennemente instabile – fra i tre protagonisti. Come una sorta di McGuffin di hitchcockiana memoria, gli eventi esterni – nell’ordine: truffa milionaria, omicidio riparatore, fuga – forniscono una cornice-pretesto per uno studio di caratteri in situazioni limite.

Primi anni ’60. Chester e Colette, una coppia di facoltosi americani in vacanza in Grecia – fascinoso, bevitore e un po’ vissuto lui (Viggo Mortensen), bella e giovane lei (Kirsten Dunst) –, si imbattono in Rydal (Oscar Isaak), un connazionale dal nome esotico, che si guadagna da vivere facendo la guida e spennando con garbo i turisti sprovveduti. Peccato che Chester, sotto la patina da gentleman, nasconda un (recente) oscuro passato che fa ben presto passare in secondo piano le piccole truffe di Rydal. Per salvarsi la pelle, Chester fa fuori un investigatore privato che lo segue fino alla camera d’albergo. Affascinato da Colette e desideroso di mettere le mani sulla valigetta piena zeppa di contanti che Chester non perde mai di vista, Rydal accetterà di aiutare la coppia a lasciare rocambolescamente Atene, promettendo due passaporti nuovi di zecca nel giro di pochi giorni. Ben presto, naturalmente, le cose prenderanno una brutta piega.

Come spesso accade nei romanzi della scrittrice texana, quando il gioco si fa duro, a emergere è la brama di (soprav)vivere, spesso accompagnata da scarsa lucidità e da un’avidità bruciante che travolge convenzioni morali e legami apparentemente consolidati. Una brutalità sottile che aveva sedotto anche Hitchockock: ne L’altro uomo (1951) – tratto dall’esordio letterario della Highsmith – un bel tennista dall’aria gentile ascoltava, tra fascinazione ed orrore, la proposta di uno sconosciuto incontrato sul treno, cedendo quel poco che bastava per precipitare in un incubo macabro.

Incardinato nei binari di un solido – a tratti didascalico – adattamento letterario, I due volti di gennaio fa proprio l’universo concettuale e tematico del romanzo. A dominare sono i dialoghi, gli sguardi incrociati fra i tre protagonisti (praticamente gli unici personaggi in scena), che cercano di districarsi fra bugie e non detti. Malgrado l’ambientazione si sposti fra Grecia e Turchia, con ampio uso di scenari esterni, l’impianto è quasi teatrale, la suspense latita, il ritmo è ondivago, a tratti faticoso, quasi rispecchiasse la progressiva stanchezza dei tre protagonisti incapaci, ciascuno a modo suo, di ottenere ciò che sembrava a portata di mano.

I due volti di gennaio è un gioco raffinato di rimandi e sottintesi, dove la costruzione narrativa si sviluppa attraverso il farsi e disfarsi di una serie di relazioni triangolari e di coppia, e il motore dell’azione è costituito dal rimando ossessivo al denaro e alla brama di possesso. Sotto lo strato di doppiogiochismi e presunti colpi di scena, il film mette in scena la lacerante corsa verso la morte di una serie di individui – indissolubilmente legati da un mix di denaro e morte – cui sfuggono di continuo le fila della storia. Il crescendo drammatico nasce, quindi, dallo slittamento fra il desiderio di controllo che pervade i protagonisti e l’ingovernabilità degli eventi esterni e interni al trio.

Con la polizia alle calcagna, Chester esercita il proprio dominio su Colette, ma assiste impotente e rabbioso al crescere dell’attrazione fra Rydal e la giovane moglie. Colette sfrutta il proprio fascino per destreggiarsi fra i due uomini, ma finisce per esserne la prima vittima. Rydal, che non vede l’ora di fregare Chester, prendendosi i soldi e la sposa, finirà doppiamente truffato. A alterare il corso degli eventi concorrono le strane alleanze a due che percorrono la trama. Chester è abbastanza vecchio per essere il padre di Colette. Rydal nota Chester proprio perché somiglia a suo padre, morto un mese prima. Per salvarsi, Chester e Rydal si fingeranno padre e figlio, mentre il loro rapporto – che si rivela il vero nucleo narrativo, con il personaggio di Colette che si riduce progressivamente a mero oggetto del contendere, finendo per sparire letteralmente dallo spazio scenico – fra colpi bassi e tradimenti reciproci, si consumerà fino alla redenzione finale. Al tempo stesso, strisciante, si insinua il tema del doppio o dell’eterno ritorno (simbolicamente introdotto dal bracciale/serpente che Chester regala a Colette, e che poi Rydal restituirà a Chester), con il giovane (Rydal) che sembra una versione a scala ridotta del vecchio (Chester). A confronto con i ruoli che, di volta in volta, si (auto)attribuiscono, le identità dei singoli – che alterano di continuo nomi e autobiografie – scolorano. A fare da padrone è un’ambiguità strisciante, che si insinua fin dalle prime inquadrature, quando Rydal racconta la storia di Egeo, morto suicida per colpa del figlio Teseo, e Chester inventa per Colette una storiella sull’inclinazione dei gradini del Partenone.

Nell’alternanza calibrata fra interni ed esterni – fotografati da Marcel Zyskind – si avvertono continui rimandi cinefili. Echi del Terzo Uomo (1949), nell’epilogo ambientato a Istanbul, mentre il pulmino su cui viaggiano i tre protagonisti ricorda quello dell’incipit marocchino de L’uomo che sapeva troppo (1956). Eppure, al di là dei lungomari assolati, è un senso di claustrofica tensione – che raggiunge il suo acme nelle scene ambientate a Cnosso, fra il notturno piovoso e i sotterranei del palazzo, con le luci degli accendini che gettano bagliori sinistri sugli affreschi minoici – a dominare un film in cui tutti sono, costantemente, alla ricerca di una via d’uscita.

Sofia Bonicalzi
Sofia Bonicalzi
Sofia Bonicalzi è nata a Milano nel 1987. Laureatasi in filosofia nel 2009 è da sempre grande appassionata di cinema e di letteratura. Dal 2010, in seguito alla partecipazione a workshop e seminari, collabora con alcune testate on line.

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