martedì, Novembre 5, 2024

I segreti di Osage County di John Wells: la recensione

Osage County, Oklahoma, piccola contea in una terra di grandi pianure e acque abbondanti.vA interrompere la monotonia dello short grass state  c’è un lago di acque invitanti e vellutate, solcato da una piccola barchetta a remi, di quelle che spingono al tuffo. Siamo a circa un quarto d’ora dall’inizio e tuffarsi è quello che fa Beverly (Sam Shepard), patriarca della famiglia Weston. Nessuno, dalla moglie Violet (Meryl Streep) al resto della famiglia accorsa al suo funerale, è disposto ad ammettere il suicidio, salvo crederci intimamente perché sembra abbastanza scontato che uno, con quella famiglia, in quelle condizioni ambientali, con una moglie del genere e una vita così alle sue spalle, decida di tagliar netto con la vita approfittando del lago.

Ma cos’ha questa famiglia che non funziona? Si odiano, e fin qui niente di strano, di famiglie disfunzionali è piena la storia. Dalla rocca di Micene alle pianure dell’Oklahoma, passando per qualche palcoscenico shakespeariano e non dimenticando neppure certi interni giapponesi, sembra che l’istituzione su cui si regge il mondo sia la più fallimentare che l’uomo potesse inventare. No, quello che distingue la famiglia Weston, nella versione teatrale di Tracy Letts, tradotta in cinema da John Wells con l’autrice alla sceneggiatura, è l’eccesso, l’esuberanza, l’horror vacui implicito in un testo a cui sarebbe bastato anche solo un terzo di quell’accumulo narrativo per dichiararsi soddisfatto. La sensazione di sovraccarico è immediata, si capisce subito che di segreti (meglio sarebbe dire cadaveri nell’armadio) i singoli componenti traboccano, ma quel che soprattutto non convince è l’incapacità di distribuire tanto materiale con occhio attento a sintesi ed ellissi, beni da non perdere mai di vista in casi del genere. La reazione, pertanto, è di soffocamento, seguita dalla tipica noia che assale di fronte all’agitarsi nevrotico di un soggetto allorchè, più che partecipare solidali al suo problema, cerchiamo scappatoie possibili per non ascoltare.

Ma vediamo di allineare qualcosa di tutto quel che succede, lasciando intatto il gusto della sorpresa: Violet ha avuto un’infanzia infelice e adesso è una mezza pazza impasticcata per via di un tumore alla bocca; le sue tre figlie sono una più fallita dell’altra su tutti i fronti, e si odiano cordialmente all’inizio, molto meno cordialmente alla fine; la sorella di Violet, che a quell’età e con quei chili ancora si crede sexi, ha come figlio una specie di strano minus habens che però sa suonare e cantare. Frutto di adulterio casalingo (che è una bella variazione sul tema) il ragazzo ama riamato una delle cugine, quella che si è sacrificata nell’accudire gli anziani genitori, Violet e Beverly.
La sorpresa che li aspetta entrambi è di quelle che li faranno pentire di esser nati. Fa parte del gruppo anche una nipotina quattordicenne che ne dimostra venti, e sniffa da matti suscitando istinti pedofili nel boy friend di una delle sorelle, appena arrivato con la sua rombante decappottabile rossa e il capello brizzolato del play boy stazzonato. C’è, infine, la buona e paziente badante-nativa, quella che, persa la pazienza, con una vanga impedirà l’odioso accoppiamento pedofilo (e questa è la scena più incredibile di tutte) Insomma nulla manca perché uno non pensi di essere di fronte ad una versione aggiornata della famiglia Adams (molto meno divertente, però!).
Esordio, peripezie, scioglimento: uno schema classico sviluppato in interni semibui, la villa di famiglia circondata dal nulla della prateria. Fuori incombe il caldo agostano, l’impianto prevalente resta teatrale, lo avvertiamo predominante nei dialoghi, mentre il cinema si prende le sue rivincite con esterni e lunghe panoramiche su ondulati nastri stradali, tremolanti nella calura estiva.
Le tensioni fra i membri s’incrociano chiasticamente fino a formare un groviglio inestricabile. Alla fine non resterà che mettere in moto auto e pick up parcheggiati in cortile e scappar via. E Violet? A lei restano il tumore, la badante-nativa, e tante parolacce che non saprà più a chi dire.
Un cast di buon livello (e francamente sprecato) fa da contorno alle performances attoriali della Streep e della Roberts. Le due attrici sembrano già pronte per l’Oscar, staremo a vedere.

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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