Richard Haig (Pierce Brosnan) è un professore di letteratura inglese a Cambridge. La sua è una vita da don Giovanni, animata da una passione sfrenata per la poesia e le donne. Ma dopo aver sedotto e messo incinta Kate (Jessica Alba), una sua studentessa americana, tutto cambia. La prospettiva di diventare padre rimette in discussione ogni sua certezza, fino a spingerlo a lasciare l’Inghilterra per restare al fianco della moglie e del futuro figlio a Los Angeles. Nel frattempo però Richard si imbatte casualmente in Olivia (Salma Hayek), una seducente ed eccentrica scrittrice, che ben presto si rivelerà la sorellastra di Kate. L’amore tra i due incomincia ben presto a sbocciare, mentre Kate, ormai non più preda di quell’effimera attrazione per il professore, si innamora di un suo coetaneo. Un complesso intrigo amoroso sconvolgerà le vite di questi personaggi, mentre il nucleo famigliare assumerà una struttura inconsueta ma animata sempre e comunque da un forte legame affettivo, un sentimento indissolubile rappresentato da quel collante emozionale che è il figlio.
Il fidanzato di mia sorella di Tom Vaughan è una commedia romantica per nulla banale o melensa, ma un ironico e lucido spaccato della società contemporanea, sempre più animata da complesse dinamiche relazionali e da un sovvertimento radicale delle convenzioni borghesi predominanti. È una commedia che si snoda in complessi triangoli amorosi insaporiti da brillanti dialoghi, spesso anche provocatori, degni delle più note screwball comedy hollywoodiane. Un elemento, questo, che lascia trasparire la sapiente orchestrazione in fase di sceneggiatura grazie al prezioso apporto di Matthew Newman. Ma allo stesso tempo, è una commedia dietro cui si nasconde un dramma e che soprattutto punta ai temi caldi dell’attualità, come la famiglia allargata, le difficoltà lavorative e la condizione degli immigrati.
Perché Il fidanzato di mia sorella è un film dinamico, che si anima di continue trasformazioni, mescolanze e ridefinizioni. Niente è mai ciò che sembra: risvolti identitari, maschere sociali e il forte contrasto tra un’immagine romantica del mondo e la propria vera natura, mentre di fondo, però, persiste in filigrana un indelebile affetto genitoriale.
Non basta predicare i sentimenti ma bisogna viverli, sembra suggerirci Vaughan. È una vera e propria contrapposizione tra teoria e pratica, tra il Romanticismo “accademico” evangelizzato dal professore radicale e quello, più prosaico ma più autentico, del vivere quotidiano. Un romanticismo non più rintracciabile nelle poesie o negli aneddoti sulle vite ribelli dei Romantici, ma nei piccoli e semplici gesti di tutti i giorni. Non c’è bisogno di essere speciali per lasciarsi vincere da un amore trascinante o lanciarsi follemente in imprese avventate, come arriverà a fare Richard, in nome non più di un ideale poetico ma di un sentimento vero, intimo, viscerale e proprio per questo mille volte più potente.
Non sarà più il prodotto di una sensibilità maturata da anni di indottrinamento universitario a muovere le azioni del professore inglese, ma il consolidarsi di un legame puramente istintuale. I numerosi riferimenti alla poesia Romantica inglese, alleggerita da una trama costellata di colpi di scena, rafforzano il senso ultimo del film. Perché, come predicavano gli stessi Wordsworth e Coleridge tanto amati dal professore, la poesia è il canale primario per l’espressione dell’immaginazione, un’immaginazione folle, che arrivi a rendere il quotidiano qualcosa di straordinario.
Ma il riferimento è anche a Lord Byron e alla sua generazione, animata da un sentimento di odio e amore per la propria terra – necessità di distacco e nostalgia per la terra madre – quell’Inghilterra da cui fugge Richard per le calde spiagge di Los Angeles, e da cui, nella realtà, sembra essersi distaccato con gioia e rammarico lo stesso Vaughan. Una nota autobiografica non da poco, che sembra proprio dar senso a quella forza pulsante, percettibile tra le righe di questa commedia brillante, da non perdere.