venerdì, Novembre 22, 2024

Il fuoco della vendetta di Scott Cooper: la recensione

A quattro anni di distanza da Crazy Heart, Scott Cooper torna dietro la macchina da presa con un racconto legato alla tradizione americana, declinando quello stesso spirito rurale con toni più oscuri e cupi. Girato a Braddock, piccola cittadina dimenticata da dio nello stato della Pennsylvania, lega la storia di due fratelli in un percorso di colpa ed espiazione che procede in parallelo.

Alle atmosfere di una tradizione rivisitata attraverso il propellente musicale di T-Bone Burnett subentra un mood meno addomesticato e più depressivo, commentato dalla musica di Dickon Hinchliffe, arrangiatore dei primi Tindersticks, quelli tra il “taste of honey” britannico e la revisione della tradizione velvetiana in forma melodrammatica e che qui avvicina la propria musica alla maniera dello Springsteen di Nebraska, sensazione confermata dal brano inedito dei Pearl Jam che chiude il film e che va proprio nella stessa direzione mimetica.

Rodney Baze (Casey Affleck) è reduce da un’esperienza durissima in Iraq mentre il fratello Russell (Christian Bale) sconta alcuni anni di carcere per un incidente di macchina in stato di ubriachezza, che ha causato la distruzione di un’intera famiglia. Mentre il primo non riuscirà a superare l’esperienza traumatica della guerra, facendosi coinvolgere in una serie di incontri autodistruttivi legati alla boxe clandestina, Russell, che ha perso tutto compreso l’amata compagna (Zoe Saldana), cerca di ricostruirsi una vita.

In uno scenario che contamina il paesaggio degli Appalachi con la depressione post-industriale, Cooper punta alla costruzione di un poema dolente, sulle tracce del cinema crepuscolare americano dei ’70, citando in posizione centrale quello di Michael Cimino, con un’ellisse ideale che contrappone la rinuncia del cacciatore alla vista di un cervo vulnerabile, con la scelta di imboccare la via della vendetta da una prospettiva simile. Una didascalia a margine sin troppo evidente e circolare, che indebolisce un film che al contrario preferisce il depotenziamento all’esplosione, la deriva alla struttura conclusa, l’incedere narcolettico alla costruzione narrativa del ritmo; e questa è la caratteristica migliore di “Out of the furnace“, il ritratto di una serie di personaggi inseriti in una descrizione arcaica del tempo e che si confondono con l’immutabilità del paesaggio naturale.

Non è solo la lentezza di Christian Bale, ma è anche la stanchezza di Sam Shepard, silente e con il volto quasi intagliato nel legno, l’inadeguatezza di Willem Dafoe al suo ruolo, figura quasi paterna coinvolta nella corruzione delle scommesse suo malgrado, la follia demente di Casey Affleck, ma anche la crudeltà eccessiva di Woody Harrelson, irriducibile e violento, con un “fuck you” tatuato sulle mani e visibile quando mostra le nocche in segno di sfida, parte di un mondo in disfacimento nuovamente invaso dalla natura e ritratto da Cooper con quella ferinità priva di pietà che fa pensare ai nativi di “Deliverance”.

Se allora non convince il tentativo del regista americano nel trasformare questa materia in un archetipo di maniera, mitigando proprio gli aspetti più liberi, è da questi che il film segue una via alternativa, descrivendo figure fieramente amorali, con una dignità autoctona che non cerca conciliazione nè salvezza.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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