Intorno agli anni Sessanta del diciannovesimo secolo la Sicilia divenne parte dell’Italia, nazione fino ad allora estranea e semisconosciuta oltre lo Stretto.
Don Fabrizio Salina, principe di Donnafugata, protagonista del romanzo di Tomasi di Lampedusa, visse da testimone quel passaggio storico, vide il lento ma inarrestabile tramonto di un’epoca, i trasformismi in atto, le bandiere che cambiavano e i vizi che restavano. Una stagione storica si era aperta al seguito delle armate garibaldine,votare per il plebiscito sabaudo fu sentito dal vecchio leone come obbligo civile, ma il suo fu il “dramma di un’intelligenza che per troppa comprensione ha corroso la possibiltà stessa di agire per modificare, e si autodistrugge nella sua spaventosa lucidità” (G. Barberi Squarotti in Poesia e narrativa del secondo Novecento)
Onestà e disincanto sono i connotati di un personaggio in cui Visconti si è rispecchiato fino all’identificazione totale, gigantesca figura a cui il suo cinema ha dato corpo e voce, ponendola in simbiosi tale con la sua fonte letteraria da non sapere più, dopo, se si stesse parlando dell’una o dell’altra. Ma Il Gattopardo vive anche di luce propria e, inserito nel progetto distributivo “Il Cinema Ritrovato ” della Cineteca di Bologna, in collaborazione con Circuito Cinema, torna ora in sala integrato da 12 minuti mai visti prima.
A 50 anni dalla sua nascita, “una delle più grandi esperienze della storia del cinema”, come lo definì Scorsese, è riconsegnata al pubblico dal restauro promosso da Cineteca di Bologna, Titanus, Pathé e Twentieth Century Fox, con il sostegno finanziario di Gucci e della The Film Foundation di Martin Scorsese.
Gestazione tormentata per una sceneggiatura che subì tagli ad opera dello stesso regista, dai 197 minuti iniziali ai 184 portati a Cannes (da dove tornò con la Palma d’oro nel ’63) il film è accompagnato da un documentario che mostra le scene tagliate e mai più reinserite. Materiale senza dubbio prezioso per una edizione critica dell’opera e una ricostruzione filologicamente corretta del lavoro del regista, ma sostanzialmente ininfluente sul piano artistico. Fu l’autore, infatti, arbitro assoluto del suo lavoro, a decidere i tagli, ed ebbe validi motivi per farlo. Sappiamo quanto il processo di identificazione di Visconti con il protagonista del romanzo fosse determinante per le sue scelte stilistiche, e anche quanto il film condivida e rispetti lo spirito del testo, nonostante alcune parti del libro non risultino presenti nell’economia generale del film. Le scene tagliate, invece, “tradivano” il romanzo, ne alteravano la sostanza profonda, e i compagni di quel PCI a cui Visconti si sentiva vicino, pur non essendo iscritto, ebbero il compito di perdonare l’eliminazione di parti funzionali più ad una militanza politica che ad una cifra estetica. Fu così che sparì Paolo Stoppa/don Calogero che promette terre, ma solo dopo il plebiscito, ai contadini pronti alla rivolta, e, sempre Stoppa, in una sequenza con Tancredi (Alain Delon) mentre parla dei tafferugli che si preparano minacciosi all’orizzonte. (continua nella pagina successiva…)