domenica, Novembre 17, 2024

Il gesto delle mani di Francesco Clerici: la recensione e una conversazione con l’autore

Sospeso nel tempo. Proprio come il processo che porta alla realizzazione delle sculture in bronzo.

Sospeso ma vivo, perché crea un legame indissolubile tra passato e presente, un legame incentrato sul lavoro, sull’arte che si intreccia alla manualità artigiana e trasforma i materiali grezzi in opere d’arte.

Il gesto delle mani è un documentario che sorprende e non lascia indifferenti. Il giovane regista Francesco Clerici ha seguito per più di un anno le fasi di lavorazione di una scultura in bronzo realizzata da Velasco Vitali, artista e artigiano celebre per le statue di cani. Lo scenario, che si eleva a personaggio fondamentale, è quello della Fonderia Artistica Battaglia di Milano: un luogo di fatica e lavoro che si trova a due passi dal centro storico del capoluogo lombardo e crea come un cortocircuito spazio temporale nella frenesia della vita metropolitana.

Il documentario di Clerici non ha alcuna intenzione didattica ma è la testimonianza di un procedimento tecnico e artistico che si ripete uguale da sempre. L’approccio si basa sul massimo rispetto: la macchina da presa riprende le varie fasi, la modellatura, la fusione, la patinatura, la rifinitura, ma si mantiene distante, quasi a non voler disturbare il processo lavorativo.

Dalle meticolose riprese realizzate con una reflex, da questo rapporto vivo e sincero che si instaura tra Clerici e gli artigiani del bronzo, nasce un film nel quale i gesti manuali diventano un rito quotidiano e si riappropriano del tempo, scandito dagli scalpelli che battono il bronzo, dalla cera che scivola dal vaso al refrattario, dalle mani che patinano l’opera. È un documentario visivo quello di Clerici, dove la forza delle immagini è data esclusivamente da ciò che sta all’interno del quadro. La parola scompare, viene sommersa dai rumori del lavoro e dalla musica classica che esce da una vecchia radio presente su una mensola della fonderia.

L’interazione tra gli uomini avviene solo tramite il lavoro e le fasi che portano alla realizzazione dell’opera. I gesti degli artigiani di Velasco sono gli stessi degli artigiani di secoli fa, non c’è distanza tra le immagini di repertorio della fonderia che Clerici ha recuperato e quelle attuali. Il rito si ripete ma ogni volta acquista una connotazione unica e irripetibile. E il merito del regista è quello di rendere lo spettatore testimone di un percorso che affonda le sue radici nella tradizione e nella memoria ed è capace di cogliere l’aspetto più profondo di uno dei lavori più antichi dell’umanità.

Il gesto delle mani è una riscoperta delle tradizioni lavorative ma è anche una dimostrazione di come si possa fare cinema di qualità attraverso le idee, la passione e la curiosità. L’uomo costruisce, manipola, crea, piega a sé la natura e gli strumenti. Francesco Clerici e Velasco Vitali sono due facce della stessa medaglia: due artisti che sanno confrontarsi con la materia, che hanno la pazienza di rispettare il tempo della creazione, che colgono l’anima che si cela dietro i gesti e la fatica del lavoro manuale.

Velasco Vitali mentre lavora le cere ne "Il gesto delle mani" di Francesco Clerici
Velasco Vitali mentre lavora le cere ne “Il gesto delle mani” di Francesco Clerici

Francesco, hai seguito per più di un anno la realizzazione di una scultura in bronzo di Velasco Vitali. Da dove nasce l’idea del film?

Dal 2009 frequento stabilmente la fonderia Artistica Battaglia di Velasco, sono sempre stato affascinato da questo luogo che sembra sospeso nel tempo e nello spazio. È difficile da credere ma questa officina si trova proprio nel centro di Milano. Fuori ci sono i rumori del traffico urbano, i clacson, le voci. Dentro l’unico rumore è quello del lavoro, degli strumenti che vengono utilizzati dagli artigiani per modellare il bronzo. Ho seguito tutte le fasi di realizzazione della scultura, alla fine mi sono ritrovato un girato che era pronto, andava solo organizzato e montato.

 Il segno delle mani è un racconto visivo. L’immagine si riappropria dello spazio, scandisce il ritmo del lavoro.

Ho sempre pensato che il cinema sia prima di tutto un’esperienza che passa attraverso la forza delle immagini. Non a caso ho sempre avuto un’ammirazione nel mio percorso formativo per il cinema puro. La parola serve spesso a spiegare, diviene uno strumento in mano al regista per chiarire gli eventi, mentre l’immagine è un flusso che trascina lo spettatore verso una fruizione più intensa. Durante le riprese ho capito quanto fosse importante concentrarsi sul lavoro degli artigiani, soffermarsi sui gesti, sul procedimento della fusione a bronzo che si ripete uguale da secoli. L’immagine doveva esaltare questo rituale ma non poteva essere invasiva: c’è sempre una distanza, che coincide con il rispetto che la macchina da presa ha nei confronti di chi lavora nella fonderia.

Il ritmo narrativo coincide con il ritmo del lavoro.

Questo documentario vuole essere innanzitutto un omaggio al lavoro manuale ma non volevo fare un film d’essai, con un linguaggio sperimentale e con scelte stilistiche marcate. Che senso avrebbe avuto fare un film dedicato al mondo del lavoro se poi sarebbero andati a vederlo solo i cinefili e gli intellettuali?

Da qui è nata l’idea di scegliere un montaggio veloce e dinamico. Quando abbiamo proiettato in anteprima il film a Milano, alcuni operai mi hanno fermato e mi hanno detto che finalmente il cinema parlava di lavoro vero, di fatica. È stata una bella soddisfazione.

Hai parlato di tempo sospeso nelle fonderie. Anche per questo hai aggiunto immagini di repertorio, per saldare in maniera più forte il legame con la tradizione?

Sì, è stata una scelta studiata anche se fino all’ultimo non avevo trovato alcuna immagine di repertorio sulle fonderie. Ho provato a chiedere anche all’Istituto Luce ma niente, non c’era modo di trovare reperti che fossero funzionali alle mie esigenze. Mi ero praticamente arreso poi, una volta terminata la fase di montaggio, dalla cantina della fonderia di Velasco è apparsa una pizza di 16 millimetri, un vecchio video commissionato dalla fonderia a un operatore Rai. Era proprio quello che cercavo, i gesti degli artigiani erano i soliti, anche lo spazio era lo stesso. È stato facile e immediato creare un legame tra passato e presente.

Il Gesto delle mani sarà distribuito nelle sale italiane da Lab 80 a partire dal 3 dicembre 2015

 

Michele Nardini
Michele Nardini
Michele Nardini è laureato in Cinema, Teatro e produzione multimediale all’Università di Pisa e ha alle spalle un Master in Comunicazione pubblica e politica. Giornalista pubblicista, sta maturando esperienze in uffici stampa e in redazioni di quotidiani, ma la sua grande passione rimane il cinema

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