venerdì, Novembre 8, 2024

Il grande match di Peter Segal: dopo trent’anni e nonostante tutto

Peter Segal ha puntato alto per l’ennesimo film del filone a difesa del diritto della terza età di non finire i propri grigi giorni sulle panchine di un parco a dar briciole ai piccioni.
Non si tratta però di doti canore sopravvissute più o meno intatte anche in casa di riposo, nè di progetti di vita senile in comune, non si sa quanto sopportabile nella realtà, tanto meno di catastrofici viaggi della terza età in India né di patetici pranzi di ferragosto a calorie controllate.
Ne Il grande match si fa perno su una sfida ancora più dura da vincere, quella contro il fisico che cede, la pelle che pende qua e là, le ossa che si sbriciolano a poco a poco e la faccia che diventa una ragnatela di rughe gonfiate dal botulino, con effetti, inutile dirlo, tra il divertente e il grottesco.
Si tratta infatti nientemeno di boxe, una sfida all’ultimo uppercut, con scommesse milionarie per una rivincita tra ex campioni ultrasessantenni che dovrebbe attirare le masse, sempre pronte ad accorrere urlanti all’evento stravagante, kitch e stralunato, portando denaro in casse semivuote, ora che è finito da un pezzo il tempo della gloria.

E’ così che due ex campioni, incarnati da De Niro e Stallone, perfette benchè molto appassite icone cinematografiche di quel mondo sportivo, organicamente coadiuvati una ex bellissima, Kim Basinger, dignitosamente resistente all’insulto degli anni, ci raccontano una storia di pugili che sembrano davvero suonati, come recita il famoso epiteto formulare.
A trenta anni dall’abbandono del ring, infatti, e da una partita di spareggio mai giocata per ragioni varie, si odiano ancora tanto da sfidarsi a duello. Tutto quel che ne consegue viene servito con abbondanza di gag di fronte alle quali non si sa bene che reazione avere, visto che non riescono a far ridere neanche un po’. Si arriva comunque sul ring, alla fine, per un massacrante incontro ravvicinato di facce gonfie, schizzi di sangue a malapena cauterizzato, delirio collettivo del pubblico e majorette dai corpi fulminanti che sfilano sorridenti tra un round e l’altro. Completano il quadro l’immancabile finale edificante, alla hollywoodiana maniera, e due post-finalini di assoluta incomprensibilità nell’economia generale del racconto che, sparati mentre scorrono i titoli di coda, rigettano sulle poltrone il pubblico estenuato.
Perchè Il grande match è un bel centone di luoghi comuni duri da digerire sulla modernità insostenibile, sulla stupidità dilagante, sul vuoto generazionale, insomma su tutto quello che i nostri due eroi disprezzano semplicemente perché non l’hanno più.
A partire dal doppiaggio, un mix di voci false e gracchianti, per continuare con uno script sciatto, condito da incursioni, visto il tema, in battute da bar dello sport, per finire con una recitazione innaturale, falsa come una moneta di cioccolata, tutto collabora a generare un fastidioso senso di artificiosità.

L’overload di tematiche genera pesantezza, fra tutte è dominante quella sentimentale, necessaria per giustificare una rivalità così protratta nel tempo. Cherchez la femme  torna quindi ad imporsi come motto sempre attuale e così ecco la passeggiata nel parco mano nella mano della coppia attempata e il bacio focoso sul ring, con sprezzo del sudore misto a sangue che cola in improvvidi rivoli lungo le guance del vincitore.

Non manca neppure un tocco di infantile gioiosità, affidato ad un novenne saputello che parla forbito meglio dei grandi, ed è il nipotino di De Niro a cui il nonno (che guai chiamare nonno) dà lezioni di vita che quasi si sfracellano tutti in macchina.
Messaggi, sensi, simbologie e quant’altro si affollano in ordine sparso e scomposto: la vita che passa, le orme che il mare cancella sulla sabbia, i valori veri che sopravvivono, le sfide da affrontare e le sconfitte da ingoiare, e, soprattutto, gli amori immarcescibili, quelli che solo al cinema. Nulla manca per piacere, almeno nell’ottica di Segal & Co. che sembrano mettercela proprio tutta, in quasi due ore di nonsochè. Poi, finalmente, le luci in sala si riaccendono e la vita riprende.

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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