In un paese di cui non voglio far il nome, viveva or non è molto uno di quei cavalieri che tengono pennelli, acquarelli, matite dappertutto, uno scatolone di vecchie lettere, un gruppo di stralunati amici e una storia.
Il ragazzo più felice del mondo è una novella picaresca. Un eterno bambino, che sembra poter continuare ad avere per sempre quattordici anni, scrive lettere seriali ai suoi eroi, tutti fumettisti di una certa fama. A ognuno di loro chiede un disegno, perché quell’atto non di meno lo renderebbe proprio il più felice al mondo. Queste lettere arrivate nel corso degli anni, identiche se non per qualche dettaglio, sono raccolte da Gipi che incuriosito da l’avvio a una serie di peripezie e viaggi raccogliendo attorno a sé la banda che saprà essergli fedele: Davide Barbafiera, Gero Arnone e Francesco Daniele. Ognuno di loro artefice di scene memorabili nel corso del film.
Come la vita stessa, apparentemente senza scopo, questo lungometraggio diventa l’occasione per un racconto pieno di poesia, di vanità e di amicizia. Un fumettista errante con la sua sgangherata troupe intraprende una missione destinata a fallire per via di una scelta. Il protagonista sempre celato non vedrà mai la camera, mentre i quattro tenteranno di capire chi sia veramente.
All’inizio questo film doveva essere un documentario, ma poi è diventato qualcosa di gioiosamente disordinato, una storia che incarna il bisogno umano di rendere il mondo più reale e più significativo attraverso l’irrealtà dell’arte.
Ecco allora che i piani si sovrappongono alla trama, c’è l’illusione che si sia prodotto questo film per lanciarne un altro, La Vita di Adelo, che i filmini in Super 8, risalenti all’infanzia di Gipi, nascondano l’essenza stessa dell’autore per il cinema, l’ossessione che lo perseguita da una vita, la creazione, la narrazione, l’opera stessa.
Che cos’è reale? Che cos’è fantasia? Non ha importanza. Gipi affronta gli elementi del suo passato e del suo presente, come la colpa scatenata dall’incomunicabilità con la moglie che si manifesta in una scena quasi alleniana, in cui i personaggi sembrano emergere dalle pagine di un copione.
Di fronte a uno specchio confessa le difficoltà che si incontrano nello stargli accanto, abbatte ogni alibi, si confronta con il suo stesso egoismo. Accetta e decide che il film diventi frutto di quegli stessi fatti di cui siamo stati testimoni.
Il ragazzo più felice del mondo è un esame stranamente intenso del processo creativo, in cui i personaggi imparano lezioni che alterano la loro stessa vita, perché con estrema ironia questa diventa la storia, ricordandoci che si ha bisogno di sognatori che osano sfidare le convinzioni ma che il puro idealismo a volte proprio come per Don Chisciotte non produce che danni.
Non ci sono figure di cartone qui e la felicità consiste nel saper dire la verità senza ferire nessuno, come rammentava Guido, Marcello Mastroianni, in Otto e mezzo.