venerdì, Novembre 22, 2024

Il regno dei sogni e della follia di Sunada Mami: la recensione

I giorni e le notti si alternano fugaci, come perle sfilate da un rosario. Ugualmente gli anni sorgono e tramontano. La nostra vita è un viaggio, che alcuni trascorrono in barca; altri per strada, finché non invecchiano i cavalli del loro carro. Non è la strada la nostra vera dimora? Lo mostrano i poeti d’un tempo che hanno incontrato la morte camminando”.

Parole di un antico poeta, Basho Matsuo, che sembrano accompagnare la giovane regista Sunada Mami nel suo viaggio dentro le stanze dell’arte, lo Studio Ghibli in un sobborgo di Tokyo, mondo dove Miyazaki Hayao, instancabile certosino, lavora dal lontano 1985 ogni giorno, dalle 11 alle 21, e Takahata Isao appare di tanto in tanto, meteora dagli appuntamenti inaffidabili, a consegnare capolavori mozzafiato che nessuno credeva sarebbe stati mai finiti (otto anni è durata la lavorazione de La storia della Principessa Splendente).
E’ il viaggio di una giovane regista che ha alle spalle un ottimo apprendistato come aiuto di Kore-eda Hirokazu.
Uscito in Giappone nel novembre 2013, il documentario ha fatto molta strada per arrivare fino a noi per due soli giorni, il 25 e 26 maggio.
Spesso, racconta la regista, le porte dello Studio Ghibli si sono aperte al pubblico in documentari per le televisioni giapponesi, dunque era importante trovare una formula nuova.

Quale miglior occasione, allora, che registrare la vita del grande staff di 400 persone che attornia il canto del cigno dei due grandi Maestri? Sì, perché con questi ultimi film (Si alza il vento e La storia della Principessa Splendente) i due amici/nemici, sodali e rivali da sempre, si congedano, e chissà cosa sarà dello studio? E’ una domanda che aleggia nell’aria, non formulata ma presente, c’è attesa e insieme tranquilla accettazione, e ancora risuona un haiku di Basho:

Questa bicocca da eremita
non sarà più la stessa
casa di bambole

Per un anno Sunada Mami ha registrato la vita quotidiana dello Studio, le riunioni di redazione, le sedute in sala di montaggio e di registrazione, si è messa al fianco di Miya san e l’ha guardato disegnare, l’ha seguito passo passo salire e scendere col suo grembiulone lungo quella scala a spirale che porta al laboratorio e poi sul terrazzo immerso nel verde, dove il gran gattone bianco a macchie nere fa le fusa al sole, mentre il Maestro lo guarda quasi invidioso, perché “facendo un film l’infelicità è assicurata”.
E’ un Mijazaki inedito quello che scopriamo, pronto al sorriso infantile, allo scherzo buffo ma anche incline allo scetticismo e spesso depresso (lo dice lui stesso, “sono un maniaco depressivo”).

Anche il vecchio gatto, mascotte dello studio, sa dove non deve andare quando il Maestro non vuol essere disturbato:
Il Dio che non disturbi non ti maledirà”, cartelli con decaloghi di comportamento si leggono dappertutto, e “queste matite sono ancora utilizzabili, non buttatele” fa il paio con avvisi a non usare energia proveniente da centrali atomiche.
Puntuale fino ad essere maniacale, ordinato e super organizzato, Miyazaki è l’anima di questo mondo che ha condiviso con un altro genio, Takahata Isao, che è il suo esatto opposto. Come Dioniso ed Apollo nel santuario di Delfi, hanno reso all’umanità tesori di bellezza muovendosi liberi e inventivi dalle rocche opposte.

Sempre presente, loquace e laborioso Miyazaki, vediamo spuntare appena Takahata, schivo e taciturno, sul terrazzo per una breve sequenza, presenza instabile ma insostituibile. Fra i due geni un grande produttore, Suzuki Toshio, instancabile mediatore da sempre dedito alla causa dello Studio, tenendo con pazienza le fila di tutto fino quasi a sembrare un preside.

Più che un’azienda sembra una scuola” dice infatti Sunada, c’è perfino l’ora di ginnastica, e così tutti fra le scrivanie a far stretching e ruotare braccia. Il prof Miya san, dal canto suo, spiega come fare l’inchino, quale dev’essere l’inclinazione esatta della schiena per non sembrare cafoni, quindi si dedica con i collaboratori alla ricerca di una voce per Jirou di Si alza il vento, gli attori veri non funzionano, suonano falsi.
Serve a tutti i costi Hideaki Anno, creatore di anime e regista, e quello arriva tutto arruffato e comincia a far prove, non crede proprio che possa funzionare ma il Maestro è contento, è la voce che voleva.

Miyazaki è il deus ex machina, Sunada ne coglie i caratteri più significativi in un ritratto minimalista che rimuove stereotipi e sfugge a didascalismi. Basta qualche parola, frasi apparentemente innocue, basta fare del montaggio il luogo della scoperta, e del grande regista sappiamo quel che c’è da sapere, i suoi momenti no e le sue paure, la sua grandezza semplice e composta, i suoi entusiasmi e le sue cadute.

Mentre Sunada Mami fa le sue riprese il lavoro di tutti è in fibrillazione intorno all’edizione dei due film.
Memorabile coincidenza per lo Studio, andranno presto insieme in produzione ed “… era proprio questo che volevo al centro del documentario, il confronto tra i due registi, il loro rapporto storico, e come ognuno ha il suo posto nello studio”.
Oltre questo intento, quello che emerge dal film è il clima di convivenza collettiva, fervida e serena insieme, in un autentico “regno del sogno e della follia”, dove autoironia e semplicità disarmanti convivono con maestria, rigore di metodo e culto della bellezza.
Ma ora che i cavalli del loro carro sono invecchiati è arrivato il momento di fermarsi e lasciare noi a riflettere sul mondo che hanno creato e il messaggio che ci hanno trasmesso.

Yume to kyôki no ohkoku (Il regno dei sogni e della follia) ci consegna un documento prezioso, qualcosa che nel tempo continuerà a raccontare di un posto sulla terra fatto di semplici cose della vita quotidiana, in mezzo a tante piante e fiori, dove si fabbricavano sogni che facevano muovere castelli e volare streghette su una scopa, principesse splendenti che sbucavano da canne di bambù e giovani scienziati alle prese con un sogno, volare. Tutto questo senza fuggire dalla realtà, piuttosto trasfigurandola con quel tanto di serena mestizia che viene dalla consapevolezza che “Bisogna vivere”, come continuerà a ricordarci lo slogan di Si alza il vento.

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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