lunedì, Dicembre 23, 2024

Il viaggio di Arlo di Peter Sohn: la recensione

Animatore fin da “Il Gigante di Ferro” di Brad Bird, Peter Sohn arriva alla sua prima regia dopo aver lavorato a fianco di Andrew Stanton, Lee Unkrich (“Alla ricerca di Nemo“) oltre che per lo stesso Bird (“Ratatouille“, “Gli Incredibili“) e per i fratelli Farrelly nelle sezioni animate di Osmosis Jones. The Good Dinosaur rientra in quelle produzioni Pixar che molto attentamente cercano di affrontare temi complessi come l’elaborazione di un lutto in una forma certamente diversa dal contaminato Big Hero 6. Allo stesso tempo come accade in Nemo, il mondo animale è al centro tanto da rilanciare l’immaginario legato ai rettili del mesozoico in una forma umanissima, relegando l’apparizione dell’uomo in una dimensione del tutto ancillare. Sempre come in Nemo la perdita di un famigliare spinge il giovane dinosauro chiamato Arlo ad affrontare il passaggio all’età adulta per confrontarsi con i pericoli del mondo che lo circonda e con l’espressione più pura del coraggio.

Tutta l’esplorazione della natura diventa occasione per mettere alla prova il talento di Sharon Calahan, uno dei pochi direttori della fotografia ad aver lavorato esclusivamente in ambito CGI, ma applicando metodi di lavoro non dissimili da quelli dei colleghi che operano sui set tradizionali. La Calahan parte quasi sempre dalla pittura, e dopo aver lavorato in “A Bug’s Life“, “Toy Story 2” e “Alla ricerca di Nemo“, perfeziona la resa puntando moltissimo sulla luce e l’impostazione del colore vicina a certe creazioni digitali di impianto foto-realistico, tanto da trasformare “Il viaggio di Arlo” in un piccolo miracolo visivo, ispirato all’aria e all’ambiente degli Stati Uniti nord-occidentali, quelli percorsi dal fiume Snake, oltre all’esplorazione dei grandi Canyon.
Da questo punto di vista il film di Sohn si accorda al tono di questa wilderness elaborando degli slittamenti tra avventura e citazioni prese in prestito dal cinema classico americano, sopratutto quello Western in tutta la parte centrale degli agguati, delle corse a perdifiato e della mandria da condurre in un territorio sicuro contro gli attacchi dei predatori.

Allo stesso tempo il lavoro davvero sorpendente della Calahan lavora per contrasto tra la forma assolutamente cartoon dei personaggi e quella fortemente realistica degli ambienti, proprio per creare una relazione più rassicurante tra sfondo e mondo animale, in linea con le regole dell’animazione dedicata ai bambini.

Ma al centro del film, oltre all’attenzione minima e spesso esilarante a tutto il mondo creaturale che pullula e fa esplodere la gag come nelle animazioni di Tex Avery e Chuck Jones, il cuore del film pulsa intorno al rapporto tra Arlo e Spot, bambino primitivo che cammina ancora a quattro zampe, si esprime con una serie di grugniti, si struscia come un cane ai grandi animali che incontra e si difende mordendo qualsiasi cosa. Da questo punto di vista è assolutamente geniale e foriera di infiniti rovesciamenti di senso il modo in cui Arlo assume tutte le caratteristiche del personaggio antropomorfizzato, inclusa l’espressione della paura e dell’insicurezza, mentre Spot si fa carico di una rappresentazione comportamentale appartenente alla sfera istintiva in forma completamente rovesciata, per esempio, rispetto alla dinamica innescata dalla fantasia di Hanna & Barbera per i Flinstones. Una dinamica che lungi da nascondere chissà quale significato, è assolutamente funzionale al ritmo della storia fino a trovare un punto di contatto nell’espressione non verbale che i due personaggi si scambiano ad un certo punto, così da ricondurre il film nella sfera peculiare dell’animazione più libera, ma sempre dentro uno schema che è sostanzialmente quello del buddy movie, ravvivato in questo caso dal confronto rovesciato tra i due personaggi principali.

The Good Dinosaur è tra i titoli Pixar più accidentati; ha necessitato più di sei anni di realizzazione, tra ri-scrittura e la sostituzione di una buona parte dello staff tecnico.  Da questo punto di vista è un film indubbiamente più debole e superficiale di altre produzioni Pixar, ma mantiene una forza del tutto vitale proprio nella parte più avventurosa e negli scambi tra Arlo e Spot di cui parlavamo, motore comico che rappresenta la funzione principale di tutto il film.

Michele Faggi
Michele Faggi
Michele Faggi è il fondatore di Indie-eye. Videomaker e Giornalista regolarmente iscritto all'Ordine dei Giornalisti della Toscana, è anche un critico cinematografico. Esperto di Storia del Videoclip, si è occupato e si occupa di Podcast sin dagli albori del formato. Scrive anche di musica e colonne sonore. Si è occupato per 20 anni di formazione. Ha pubblicato volumi su cinema e nuovi media.

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