martedì, Novembre 19, 2024

In solitario di Christophe Offenstein: la solitudine della scelta

Fatto realmente accaduto ad un velista durante un’edizione della Vendée Globe, non sappiamo se, come usa dire di prammatica in questi casi, “abbia cambiato per sempre la vita del protagonista”.

Ma non sembra interesse precipuo di Christophe Offenstein (direttore della fotografia alla sua opera prima) scavare troppo del mondo interiore di Yann (François Cluzet) il protagonista, e neppure spingere troppo il pedale intimista. Questa storia di 80 giorni di circumnavigazione completa del globo in barca a vela e in solitario, senza possibilità di attracco o di assistenza esterna pena l’esclusione, può comunque bastare a sé stessa, raccontando, con la forza delle immagini e il ruggito dell’Oceano, la voglia molto umana di vincere una sfida estrema, unita al bisogno di scegliere, a volte, quello che più conta nella vita.

Presentato al Roma Festival 2013 nella sezione per ragazzi Alice nella città, In solitario è un momento della vita di Yann Kermadec, velista cinquantasettenne del team di Franck Drevil, lo skipper principale, infortunato alla vigilia della gara. Come da regolamento Yann prende il suo posto, è l’occasione della sua vita di eterno secondo, e non ha nessuna intenzione di lasciarsela sfuggire. La determinazione feroce a farcela è tutta scritta nella faccia di François Cluzet, in una performance di buon livello, che oltrepassa felicemente le secche di una sceneggiatura qua e là imperfetta e a rischio continuo di cadute nella retorica. Cluzet ci restituisce un personaggio credibile, l’eccezionalità della sua impresa non si perde fra i cascami di storie familiari e sentimentali di cui il regista sente il bisogno di infarcire la storia.
Il resto lo fa il mare, con la tensione spasmodica che dà alle scene, girate tutte sulla barca, con due sole telecamere e una troupe costretta in pochi metri ad affrontare sfide della natura non indifferenti. Alla voglia di vincere di Yann, profondo conoscitore della barca e del mare, temerario nell’affrontare variazioni di rotta pericolose ma vincenti, si oppone il caso cieco e beffardo, quello capace di mettere un oggetto disperso in mare in rotta di collisione con il suo timone.
A due settimane circa dalla partenza e in prima posizione nella classifica, il danno lo costringe ad una sosta per riparazione alle Canarie. Sarà l’occasione per Mano Ixa (Samy Seghir), uno spaurito sedicenne della Mauritania, di nascondersi nell’imbarcazione.
Era stato abbandonato lì da contrabbandieri mentre tentava di raggiungere la Francia per curare quella che chiama la sua “maledizione”, malattia che poi si rivelerà anemia falciforme, curabile ma con le medicine giuste.Sprovveduto com’è, ha creduto di risolvere il suo problema vedendo la bandiera francese sulla barca.
La regata prosegue con il clandestino a bordo e la variopinta gamma di azioni e reazioni che l’esperienza dell’ “altro” sempre induce nella vita di un uomo. La prova per Yann ora è davvero estrema, molto più della sfida che l’Oceano gli impone ogni giorno. Uscirne vittoriosi è impresa titanica, molto più che governare il mare e gestire l’incredibile apparato tecnologico di bordo. La scelta finale non ci stupisce, Offenstein, ma soprattutto Cluzet, sanno condurci in porto con giusta gradazione. Nella post-visione si perdono gli svolazzi sentimentali e restano il boato delle onde sulla tolda, lo sguardo spaurito di Mano Ixa e la rabbia umana, troppo umana di Yann.
Non si sente un eroe, Yann, sacrificare il suo sogno è difficile e farsi carico delle ingiustizie del mondo non è cosa qualsiasi. Quello che farà è frutto di una scelta, ma non sappiamo se gli ha cambiato la vita. Certo ha fatto qualcosa di inatteso, anche per lui stesso, ed è qualcosa che vale.

Paola Di Giuseppe
Paola Di Giuseppe
Paola di Giuseppe ha compiuto studi classici e si occupa di cinema scrivendo per questo e altri siti on line.

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