Indie-eye presenta uno speciale dedicato a John Carpenter compositore. L’approfondimento di straneillusioni è costituito dall’analisi di tre tra le colonne sonore più influenti del maestro di Carthage; in sequenza è possibile leggere da oggi articoli su The Fog; Escape From New York; In The mouth of madness, ovviamente esaminati da una prospettiva musicale. Introduce lo speciale questa breve intervista a John Carpenter
In The Mouth of madness (dalle nostre parti, Il seme della follia) è la seconda collaborazione di Carpenter con Jim Lang, con il quale nel 1993 aveva prodotto e realizzato la colonna sonora per Body Bags, film a episodi prodotto per la televisione che condivide con Tobe Hooper, dirigendo due segmenti.
La colonna sonora di Body Bags è un contenitore che va in mille direzioni; da una parte recupera quella forma rock/popular che comincia ad affacciarsi in modo più visibile con They Live, ma che in verità attraversa buona parte della discografia di carpenter sin da distretto 13, in forme ed influenze diverse.
Come al solito si tratta di un involucro, l’orchestrazione è molto ricca e nelle possibilità multiformi offerte da due episodi di tono apparentemente diverso, Carpenter inserisce segmenti orchestrali, drones, un bellissimo episodio di Jazz sintetico alla Badalamenti (Brain Trouble).
In questa raccolta disomogenea di brani, la forma orchestrale, che si affaccia raramente nella discografia Carpenteriana, è un preludio alla musica sviluppata per In The Mouth of Madness. Uno degli equivoci critici più comuni è quello di delineare il percorso artistico delle ultime colonne sonore di Carpenter a partire dalla title track che apre la raccolta, power metal d’effetto che nel film ha una posizione di traino.
In verità l’uso dei synth rimane assolutamente centrale e si arricchisce di alcuni elementi orchestrali che spostano l’asse ritmico di uno stile inconfondibile nella direzione di un esperimento atonale. Si tratta di un’orchestra virtuale, nel segno delle prime colonne sonore di Carter Burwell (una per tutte, Blood Simple), dove la verosimiglianza timbrica è ancora una volta un esperimento radicale sui rumori, sul montaggio sonoro, sulla rilettura di un mondo di suoni concreti e allo stesso tempo immaginali che in questo caso dissolvono la potenza post-industriale del suono Carpenter in una lotta tra materia e antimateria.
Una traccia come Trent Makes the map riassume questa novità con un residuo ritmico ancora percettibile, da qui in poi il suono percorre il confine tra visibile e invisibile, materializza paesaggi sonori, sviluppa solamente il dettaglio, ricerca una forma caotica citando i momenti più tensivi di Penderecki. In The mouth of madness, insieme a The Fog, è la colonna sonora più sperimentale ed estrema composta da Carpenter, costituita quasi esclusivamente da drones e cluster, conserva un’allure assolutamente Carpenteriana come se si trattasse di un residuo o di un mondo sonoro in decomposizione.
Il Groove, che rimane un propulsore fondamentale, è dilatato, rallentato, annichilito a distanza, come a rappresentare una minaccia incombente in mezzo alla forma indeterminata dei suoni; qui, la forza iperrealista della natura sonora riprodotta da un synth analogico lotta con quell’illusione di verosimiglianza che tutta l’elettronica contemporanea di consumo ci ha illuso di poter rappresentare con la perfezione timbrica di un simulacro virtuale.